Cinquestelle, processo a Di Maio: «Se si vota ci asfaltano, ti sei fatto fregare»

M5S, processo a Di Maio: «Se si vota ci asfaltano, ti sei fatto fregare»
di Mario Ajello
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Giovedì 31 Maggio 2018, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 15:16

Una corrida, e tutti a infilzare Di Maio. Un processo, e tutti ad accusare lui. Ecco l'assemblea dei parlamentari cinque stelle, fiaccati da quasi novanta giorni di crisi, sfiduciati rispetto alle qualità del leader - «Ti sei fatto fregare da Salvini», «Sei caduto nel trappolone della Lega», «Se ci porti a votare, quelli ci asfaltano» - e questo, Montecitorio, poco prima di cena, è il luogo dell'esplosione di tutti i malumori e le paure e della vera e propria rivolta contro gli errori attribuiti al leader. Tre ore e mezza di passione, e nessuno prova a nascondere - agli occhi di Di Maio, il bersaglio, il colpevole - quanto bruciano nel corpaccione dei gruppi di Camera Senato le ferite di questo passaggio che sembra portare al baratro. Il terrore di andare a votare e, appunto, di essere asfaltati in queste condizioni in cui - ripetono in tanti - «Salvini ci ha surclassato in tutto e noi siamo stati subalterni a un partito che ha la metà dei nostri voti. Non credi di aver sbagliato qualcosa, Luigi?». Il leader prova a difendersi. Quasi balbetta: «Può darsi che scopriremo che tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare ci hanno fregato. Ma io preferisco passare per brava persona che per furbo».

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Il suo problema però, a questo punto, non è tanto Salvini, quanto il movimento che - proprio mentre lui crede di aver fatto l'offerta giusta al Capo dello Stato e al leader lumbard - sta saltando di suo e sta saltandogli addosso. Di Maio ammette che è «molto arrabbiato» con Salvini per tutto il suo comportamento non limpido e diretto in realtà, fin dall'inizio, al voto ad ottobre. Che è il vero baratro per tutti i presenti. E molti di questi al prossimo giro non ci saranno. Paola Taverna come al solito è molto diretta. Si alza e punta il dito: «Luigi, devi ascoltare di più». E questa è l'accusa assai condivisa: «Non sai fare condivisione», dicono al leader. «Noi abbiamo appreso le cose dalle agenzie di stampa, mai una volta che tu abbia chiesto il nostro parere. E questi sono i risultati...».

FENDENTI
C'è chi gli imputa di aver ceduto sul veto posto dal Quirinale su Savona. Lui ribatte che non c'era altra scelta. E molti gli attribuiscono l'intenzione di volere andare al voto già a luglio, perché le urne d'estate lo tutelerebbero. Mentre le elezioni in autunno (o, peggio, ancor più in là) potrebbero giustificare con minor forza la deroga al doppio mandato e rischierebbero di veder affievolire la sua leadership. Con, all'orizzonte, il ritorno dall'America del Dibba, sempre più nella parte del Che rispetto all'«ondivago» Luigi. Gli viene rimproverata la mossa dell'impeachment, che fin da subito non è piaciuta nel movimento e tantomeno al fondatore, Beppe Grillo. Se anche la ripresa del progetto Conte dovesse fallire, le sorti della leadership di Luigi - se l'aria è questa - si farebbero davvero problematiche. I fedelissimi di Di Maio sono molto preoccupati: «Il gruppo così non lo controlliamo». Non si aspettavano, né loro né il leader, un quadro di questo tipo. Ossia: «la polveriera».

Di Maio è in affanno di fronte ai fendenti, cerca di rassicurare così il coro di chi gli dice che «manca un luogo decisionale, e il verticismo ha sempre ucciso le esperienze politiche, anche le migliori»: «Troveremo modi di comunicazione più diretta tra di noi.

Siamo tanti, ed è difficile fare assemblee per decidere. Cercherò di trovare metodi alternativi». Tra le voci critiche c'è per esempio quella del deputato Andrea Colletti che chiede di «ascoltare anche chi da una lettura diversa» da quella del mainstream e voluta dai vertici. «Ascolta pure i rompiscatole», dice Colletti. Il clima questo è. Ossia quello del «ci ha portato in un vicolo cieco, caro Luigi». L'altro giorno è stata anche organizzata un'assemblea carbonara in Senato. Non una riunione in agenda, ma un'iniziativa autoconvocata. Danilo Toninelli, l'ex deputato vicino a Luigi Di Maio e ora capogruppo al Senato - definito «il commissario politico» da chi non lo ama - non era presente. Escluso dalla riunione. «Non siamo dei pigia bottoni», sarebbe sbottata una neo parlamentare con dei colleghi al secondo mandato. A dare in escandescenze per la mancanza di chiarezza, e la linea politica «clamorosamente sbagliata», il celebre senatore Gregorio De Falco sopra ogni altro, tra i più duri per la gestione del post-voto. Una senatrice di nuovo corso, durante l'assemblea, è scoppiata in lacrime denunciando la mancanza di trasparenza: «Sono arrivata a Roma credendo di replicare la condivisione che ho sempre apprezzato nei meetup e qui apprendo le notizia dai giornali, mi sembra un incubo. E quando da casa mi chiedono che cosa accade?, ho quasi imbarazzo nel dire che non so un fico secco».

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