Totò Riina, Mancino: «Ma quale trattativa Stato-Mafia, lo feci arrestare io»

Mancino
di Mario Ajello
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Sabato 18 Novembre 2017, 09:14
Un giorno sì e l'altro pure, Nicola Mancino chiedeva alle forze dell'ordine di arrestare Riina. Era il ministro dell'Interno. Aveva fatto dell'arresto del capo dei capi una priorità assoluta. Poi arrivò il giorno, il 15 gennaio del 1993, in cui Riina venne bloccato alle 8 e mezza del mattino a Palermo, in via della Regione Siciliana. Fu un fatto storico. «Quella mattina - racconta Mancino - era stato convocato il consiglio dei ministri, presieduto da Giuliano Amato. Durante i lavori di questa riunione, fui chiamato per telefono dal Capo dello Stato».

Che cosa le disse Oscar Luigi Scalfaro? «Mi comunicò che Riina era stato catturato. Io non ne sapevo ancora niente, ma da tempo eravamo sulle sue tracce. Rientrai in consiglio dei ministri, e partì un grande applauso di tutti i presenti. Si congratularono per questo successo». Poi Mancino venne raggiunto telefonicamente dal capo della polizia, Parisi: e ancora congratulazioni. «Del resto - incalza Mancino - fin dal mio insediamento al Viminale, cinque o sei mesi prima di quel 15 gennaio, avevo sempre sottolineato che bisognava catturare Riina, il più pericoloso di tutti».

IL MAXI-PROCESSO
Ora il capo dei capi non c'è più. E Mancino commenta: «Non può esserci pietà umana per una persona che ha commesso tutte quelle stragi. E con la crudeltà di chi ha sempre ritenuto di non doversi pentire e di non voler collaborare, nonostante l'assegnamento al carcere duro. Si è avvalso anche di protezioni, sennò la sua latitanza non sarebbe durata tanto a lungo». Mancino torna indietro con la memoria al tempo del maxi-processo palermitano contro i vertici di Cosa Nostra. «Quando lo Stato, con il maxi-processo, ha condannato con lui non pochi altri feroci assassini, la risposta mafiosa imposta da Riina fu dura e ad ampio raggio». Comunque, così racconta Mancino: «Ora è morto il capo dei capi, ma non è morta la mafia». Matteo Messina Denaro viene considerato il nuovo super-boss. «Mi auguro che venga arrestato al più presto. E quando accadrà, spero che potremo sapere di più su come è strutturata oggi la mafia».

NEMICO NUMERO 1
Mancino ha avuto la disavventura di essere coinvolto nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. E' stato vittima di insinuazioni. «Proprio io che ho combattuto a viso aperto la mafia, e che mi sono sempre battuto per introdurre e mantenere le misure più dure possibili di detenzione nei confronti degli esponenti mafiosi». Il processo sulla trattativa è in corso e sta andando verso la fine. «Ho un'imputazione - incalza Mancino - che non mi collega minimamente alle bombe che hanno messo».

Il collegio della quarta sezione penale ha risposto negativamente alla richiesta di trasmissione degli atti a carico di Mancino per il reato di falsa testimonianza. Insomma, ha detto che Mancino non c'entra nulla e che non ha commesso nemmeno falsa testimonianza. Ma il calvario di una vicenda così è capace di segnare chiunque, specialmente un galantuomo come l'ex ministro che catturò Riina. Tanto che nelle ultime intercettazioni in carcere, il boss ha definito Mancino «il nostro nemico numero uno». «Io - incalza l'ex ministro - ho sempre detto, e Conso, Ciampi, Scalfaro hanno confermato, di non sapere assolutamente niente di questa presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. Se ne avessi saputo l'esistenza, l'avrei ostacolata con tutta la mia forza».
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