Revenge porn nel nome di Tiziana
ma nessuno cancella quei video

Revenge porn nel nome di Tiziana ma nessuno cancella quei video
di Antonio Menna
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Mercoledì 3 Aprile 2019, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 16:21

Se Tiziana Cantone fosse nata negli Anni Quaranta invece che nel 1983 forse sarebbe ancora viva. Non sarebbe diventata il simbolo di una nuova norma, varata ieri dalla Camera dei deputati, sul revenge porn, la subdola scelta di pubblicare immagini rubate nell'intimità che da oggi è un reato specifico, con una pena massima fino a sei anni. Tiziana non avrebbe dovuto guardarsi dalle videocamere dei cellulari, innanzitutto, da quell'occhio sempre aperto che a volte fa più paura di una pistola puntata. E dal buco nero che il web riesce ad essere, quando vuole. Quel pozzo senza fondo da cui spuntano continuamente i frammenti di una memoria eterna. Negli anni Settanta, alla Tiziana trentenne sarebbe bastato distruggere il negativo di un video fatto in casa, e magari cambiare quartiere per qualche mese. Lasciarsi dimenticare. Oggi, no. Questo flusso così distratto e continuo di dati, foto, notizie, che sembra passare inosservato e veloce, a volte diventa un cappotto di pietra. Ci fa statue e ci lascia lì, sotto gli occhi di tutti. Inermi e indifesi. A Tiziana Cantone, morta per mano sua ma esasperata da ognuno di quelli che ha girato, diffuso, condiviso, visto i suoi video hard, è sembrato di non potersi più schiodare da quei fotogrammi rubati al suo spazio personale, carpiti alla sua buona fede, e condivisi in rete da mani che dovevano essere complici, se non amiche e sono diventate invece fatali. Chiodo scaccia chiodo, scriveva Pavese, ma quattro chiodi fanno una croce. I chiodi della croce di Tiziana sono stati proprio quei video porno. Non quattro, sei, e sono ancora incredibilmente in rete. Un po' camuffati, con nomi diversi nemmeno troppo modificati, non ci vuole una gran ricerca per trovarli sui siti porno. Sono lì: sei video peraltro brevi e di bassa qualità mandati in circolazione uno dopo l'altro tra maggio e giugno del 2015, visualizzati milioni di volte. Lei aveva 32 anni. In quei filmati faceva sesso ma non solo. Mostrava il volto. Parlava alla videocamera. Puntava gli occhi. Era riconoscibile. E usava espressioni che, in quella imponderabile dinamica della comunicazione, diventarono un tormentone.
 
Ci hanno giocato e scherzato tutti. Forse anche più delle scene hard, che in fondo sono sempre uguali e tutte dimenticabili, sono stati quella voce, quelle frasi, quel linguaggio a travolgerla. E poi il nome e il cognome. Incredibile. Il volto. La carta di identità. Sui siti porno. Sulle app di messaggistica istantanea. Sui social network. Una macchina infernale che la preleva come un battaglione della morte dall'anonimato di una vita qualsiasi, in case qualunque tra Casalnuovo, Mugnano e Licola, e la mette nel tritacarne. Qualcuno, quando uscirono i primi video, disse che quella ragazza era una porno attrice e che si era di fronte a una operazione di guerrilla marketing per lanciare un film, o una nuova star. Una operazione troppo ingenua per essere sincera. E invece era tutto vero, con quella banalità che il male indossa quando deve fare male davvero. A Tiziana avevano rubato momenti di intimità in giochi scambisti, a loro volta forse vissuti controvoglia (27mila messaggi tra lei e il fidanzato sono stati ritrovati sulla sua Sim, con la sensazione di una pesante soggezione); una intimità che in ogni caso tale doveva rimanere quattro mura - e che invece è diventata teatro aperto a tutti. Peggio, teatro permanente. Un circo senza sipario.

A Tiziana non è rimasto altro che sparire. Con il tragico paradosso che non riesci a scomparire dal web ma devi fuggire dalla vita reale. Chiuderti in casa. O provare a uscire, come ha fatto lei nei primi tempi, intabarrata con cappelli, sciarpe, cappotti ampi. E poi di nuovo in casa. Lontano. Altre città. La riconoscono, non c'è modo. E' inseguita da battutine, proposte, sguardi ammiccanti. E nessuno riesce a far sparire quei filmati dalla circolazione. Non servono le istanze, le cause, gli atti giudiziari, gli appelli. Tiziana invoca il diritto all'oblio ma nessuna la ascolta. Pensa addirittura di cambiare nome, per riuscire almeno a guadagnare un pezzo di futuro, per invocare una somiglianza e poter dire, in un altrove immaginario, no, non sono io, vedete? Mi chiamo in un altro modo. Ma nulla riesce a sottrarla a quel tragico film. I video con il suo nome e il suo volto in primo piano ricompaiono sempre, come mostri di un videogioco, un plotone di esecuzione che mira, punta e non ti colpisce mai. Allora, perché non morirci davvero? Tiziana prova una prima volta a suicidarsi, ma fallisce. La famiglia si stringe intorno a lei. Tenta di incoraggiarla, a darle una prospettiva. Ma è proprio quella sensazione di non potersi liberare mai, a tagliare l'aria al futuro e ai pensieri di questa bambina finita in un gioco da adulti, come ha scritto uno degli psicologi incaricati di perizie nei vari procedimenti giudiziari. Poi il 13 settembre del 2016, un anno e mezzo dopo l'inizio dell'incubo, un foulard, un attrezzo da palestra, la tavernetta deserta della villa diventata prigione, quindi il piccolo salto e la fine di tutto. La morte. Comincia il lungo pentimento generale. Oh, Dio, che abbiamo fatto? Povera ragazza. Tiziana diventa una icona all'incontrario. Il suo volto con gli occhi cerchiati di trucco sembra triste, anche nei video porno. Non ce ne eravamo accorti prima? Arriva, infine, la legge. Una legge nel nome di Tiziana. Non è servita a lei. Speriamo che il suo sacrificio serva ad altri.

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