Referendum, Renzi alla resa dei conti: se perdo lascio palazzo Chigi

Renzi
di Marco Conti
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Lunedì 7 Novembre 2016, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 15:59

dal nostro inviato
FIRENZE
«Io non mi lascerò cuocere a palazzo Chigi». La camicia bianca è zuppa di sudore. Nella stanzetta allestita dietro al palco, Matteo Renzi si rifugia dopo il lungo discorso che ha chiuso la settima edizione della Leopolda. C'è tutto lo stato maggiore renziano. Dal ministro Boschi al sottosegretario Lotti, a Franceschini e a molti parlamentari del Pd che sono andati per complimentarsi del discorso. Il «fuori-fuori» che la platea ha urlato indirizzandolo alla sinistra bersaniana - colpevole di non aver accettato la mediazione sull'Italicum siglata invece da Gianni Cuperlo - riecheggia nella stanza dove è allestito un piccolo buffet che viene preso d'assalto. C'è anche la signora Agnese con i figli. La first-lady è stata in platea e ha battuto le mani al marito, ma ora si preoccupa dei compiti che il figlio sta facendo mentre intorno al papà il via vai continua.

LA RIFLESSIONE
«I sassolini li ho levati tutti», sostiene il premier visibilmente emozionato, ma anche soddisfatto per come è andata la Leopolda, «la migliore di tutte». La sua ossessione non è certo la sinistra del Pd, ma il referendum del 4 dicembre, «ma poiché mi vogliono far fuori, non possiamo stare zitti. E se pensano che io perdo e poi rimango a palazzo Chigi, si sbagliano di grosso». Esplicito lo è stato anche dal palco dove non ha evocato le elezioni anticipate qualora dovessero vincere «i gattopardi», ma la nascita dell'ennesimo «governicchio tecnichicchio» che dovrà fare la legge elettorale e poi portare il Paese al voto anticipato.

LA STRATEGIA
Attento a non invadere le prerogative del Capo dello Stato, Renzi ha però raccontato con chiarezza cosa lui intenda fare dopo il 4 dicembre. Niente elezioni, ma G7 a Taormina e celebrazione a Roma dei Trattati, se il Sì vince. Mentre, in caso di sconfitta, dimettersi e da segretario del Pd iniziare una campagna elettorale senza quartiere sino al voto contro «l'ammucchiata del no». Le formule per sostenere «il governicchio tecnicchicchio» molto dall'esterno, sono tante, secondo Renzi, che intende usare il congresso e le elezioni per regolare i conti con «Bersani, Speranza e i loro quattro amici». I quali ovviamente non hanno gradito gli attacchi di ieri. E va registrato che lo stesso Cuperlo, che ha siglato il patto con i renziani sul nuovo Italicum, non sorride: «Il premier ha sbagliato».

LA PROSPETTIVA
«È un referendum che finirà sul filo di un milione di voti», sostiene il premier intervistato a sera da Minoli su La7. E quel milione di voti di differenza rischia di farlo il Sud dove il No fatica perché il taglio dei politici e delle poltrone non ovunque è considerato un vantaggio. Se poi il governatore della Puglia ed ex magistrato, Michele Emiliano, si considera, e viene considerato dai bersaniani, «ora che Cuperlo si è perso», come il possibile sfidante di Renzi per la segreteria e per palazzo Chigi, diventa difficile che gli amministratori del Pd pugliesi si convincano a fare campagna elettorale in favore del Sì.

Dopo settimane trascorse a spersonalizzare il referendum, Renzi torna quindi a proporre all'elettorato il bivio che buona parte dell'opposizione, anche interna al Pd, pone. Ovvero la scelta tra il Sì, e quindi la continuazione dell'esperienza dell'attuale governo, e il No che significa dimissioni dell'esecutivo e conseguente incertezza interna e sui mercati.

LA SCELTA
D'altra parte, ricordava anche ieri Renzi, «questo governo è nato per riformare le istituzioni dopo la paralisi del 2013» e l'appello dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Io il mio l'ho fatto». Come dire, se non andrà bene prenderò altre strade. Personalità e temperamento non sono mai mancate al premier anche in caso di sconfitta. Perdere le primarie con Bersani significò prendere una rincorsa che poi lo ha portato a palazzo Chigi, anche se ancora dice di dolersi per lo «stai sereno» rifilato ad Enrico Letta, unico tra gli ex premier ad essersi schierato apertamente per il Sì pur non facendo campagna elettorale.

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