Renzi: Letta sleale. Pd pronto a staccare la spina al governo

Matteo Renzi
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 13 Febbraio 2014, 08:04
La storia si esaurita, non ci sono pi le condizioni per andare avanti. È ormai sera, quando Matteo Renzi riunisce i suoi più stretti collaboratori, fa il punto della convulsa giornata all’ok Corral con l’amico Letta, e anticipa quel che dovrebbe accadere oggi in direzione, la più infuocata nelle premesse da quando esiste il Pd. Ci manca solo l’ormai storico «che fai, mi cacci?», di finiana memoria, e la frittata è servita.



Il Pd e il suo nuovo segretario plebiscitato dalle primarie sono pronti a sfiduciare Letta, il loro premier. Non si era mai visto. «Questo governo rischia di essere una zavorra per il Paese», le parole pesanti come pietre rivolte da Renzi a palazzo Chigi e al suo inquilino. Con i suoi, dopo una giornata dove non ha lesinato critiche se non contumelie all’indirizzo dell’inquilino di palazzo Chigi («è stato sleale», il minimo che gli ha rinfacciato), Renzi è stato calmo e determinato, se il premier si dichiara zen, il segretario fa il buddista. Ascoltata la conferenza stampa di sfida del premier, il primo commento è stato: «Ha presentato solo adesso questo programma Italia, ma ha avuto tutto il tempo per scriverlo, invece ha continuato a parlarmi di rimpasti e rimpastini, che a me non interessano per nulla».



Governo al capolinea, dunque. Ma come rendere manifesta la volontà politica del Pd, come metterlo nero su bianco? Per tutta la giornata si sono susseguiti gli incontri e i faccia a faccia al Nazareno. Un gran consulto sul che fare rispetto al governo e al suo premier. Da Renzi sono andati Franceschini, i capigruppo Zanda e Speranza, Delrio, e altri dirigenti. Con tutti, il segretario si è prima sfogato: «Letta è stato sleale, mi aveva assicurato nel colloquio che si sarebbe dimesso, poi ha fatto il contrario, ha indetto la conferenza stampa per dire che vuole rimanere. Perché è chiaro quello che ha fatto, no? Ha detto solo che vuole rimanere, costi quel che costi».



SUMMIT CON I GOVERNATORI

Davanti ai presidenti di regione e altri amministratori (c’erano Zingaretti, Serracchiani, Fassino, Errani tra gli altri), il segretario era apparso assai più sulle righe, «a questo punto basta, si rompe tutto, si va diritto al voto», aveva urlato, tanto che, raccontano, era dovuto intervenire Delrio a calmarlo. L’ira renziana ha però dovuto cedere al ragionamento freddo, in vista della direzione non si può farsi prendere dagli impulsi. «Se spera che io la butti in rissa, si sbaglia», ha detto il segretario ai suoi interlocutori. Tradotto in tattica politica, in procedure interne, le prospettive sulle quali si è ragionato sono state due: presentare un ordine del giorno che sfiducia nudo e crudo il premier con frasi del tipo «bisogna aprire una nuova fase, con altri protagonisti», oppure andare al voto sulla relazione del segretario, con dentro certo tutte le critiche, ma meno impegnativa e dirompente? C’è ancora tutta la mattinata per pensarci, anche perché il segretario e altri sono convinti che davanti al pronunciamento in direzione di vari dirigenti che chiedono a Letta di togliere il disturbo, alla fine l’interessato prende atto e sale al Colle per dimettersi senza arrivare a voti di sfiducia, né nel partito né, assai peggio, in Parlamento.



«Certo, è un bel problema, la sfiducia al proprio premier non è cosa di tutti i giorni, ma noi siamo ligi a quel che decide il partito», annunciava alla Camera Elisa Simoni, deputata fiorentina ex assessore di Renzi. Pronta a sfiduciare politicamente Letta anche la minoranza interna, con Gianni Cuperlo che ha riportato all’unità la componente sulla linea del governo al capolinea, «mica possiamo metterci proprio noi, sinistra del Pd, a fare le guardie rosse dell’esecutivo con Alfano e i moderati», spiegavano dalle parti della minoranza dopo l’ennesima riunione fiume. «Saremo responsabili, seguiremo le indicazioni del partito», la linea dettata da Cuperlo.

Anche perché, tra non pochi dem, si è insinuato il forte sospetto che Letta, con il suo procedere, stia in realtà lavorando a un suo progetto politico. Che poi altro non sarebbe che quello balenato all’avvento dell’attuale governo, fare del medesimo il luogo di una nuova aggregazione centrista.



«Enrico fa finalmente il capo dei moderati», la diagnosi-auspicio di Michele Agrusti, ex dc di lungo corso ora tornato a fare l’imprenditore, confidato a Beppe Fioroni in un colloquio alla Camera. E c’è chi ricorda il precedente di Romano Prodi, che sfiduciato e sostituito da D’Alema fondò di lì a poco l’Asinello, in esplicita competizione con l’allora Ds. «Se Letta vuol fare il piccolo Prodi non si sa, ma va ricordato che Romano era stato votato dagli elettori, lui no», la tesi dei renziani scettici.
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