Renzi a Cernobbio: «Ora giù le tasse ma basta piagnistei e salotti buoni»

Renzi a Cernobbio: «Ora giù le tasse ma basta piagnistei e salotti buoni»
di Alberto Gentili
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Domenica 6 Settembre 2015, 09:58 - Ultimo aggiornamento: 18:12

dal nostro inviato

CERNOBBIO Dopo lo schiaffone dell'anno scorso, quando Matteo Renzi disertò il workshop dello studio Ambrosetti al grido «basta con i soliti noti e con il capitalismo di relazione», l'accoglienza a Villa d'Este è freddina. Così gelida da spingere Gianni Riotta, nel ruolo di moderatore-presentatore, a chiamare l'applauso di benvenuto: «Su, uno potete farlo...». Ma il premier, che dopo aver fatto tappa a Rimini al festival di Cl quest'anno si sottopone anche al rito annuale di Cernobbio, non si scompone. E a finanzieri, economisti e industriali che gremiscono la lussuosa platea, manda due messaggi.

Il primo nel segno della stabilità: «L'Italia non è più un problema per l'Europa e io resterò per altri trenta mesi, fino al 2018». Il secondo nel solco del renzismo spinto, della rottamazione: «Il tempo dei salotti buoni è finito, finito davvero. Come è finito quello degli amici degli amici e dei patti di sindacato, che hanno fatto più danni dei... sindacati». Ancora: «C'è da lavorare duro, ma basta piangersi addosso con la retorica dell'imprenditore che deve resistere resistere resistere. L'Italia offre grandi opportunità. Il tempo degli alibi è finito per tutti, per me, per i politici, come per voi».

LA NUOVA GENERAZIONE

Renzi arriva a Villa d'Este, sulle rive del lago di Como, in elicottero.

Giusto in tempo per dribblare una grandinata con chicchi di ghiaccio grandi come biglie. Qualche saluto, facendo attenzione a non incrociare Enrico Letta, che non citerà mai durante il discorso, al contrario di Mario Monti e perfino di Giulio Tremonti. E poi subito sul palco. Anche le prime parole sono nel solco della rottamazione: «Una nuova generazione sta cambiando le regole della politica, presto accadrà lo stesso nelle aziende e nella finanza». Niente annunci però. Il premier preferisce elencare i risultati ottenuti: «In un anno abbiamo fatto la riforma del lavoro, il Jobs Act, che tra il 1970 e il 2014, veniva giudicata impossibile. Invece ora l'articolo 18 non c'è più. E pensate che la Germania ha fatto lo stesso in tre anni, sforando per di più il patto di stabilità, andando sopra il 3% deficit-Pil. Noi non ne abbiamo avuto bisogno...».

GIÙ IL DEBITO

Gonfia il petto, Renzi. Ricorda gli ultimi dati Istat che nel secondo trimestre fotografano un'Italia cresciuta dello 0,3%, «esattamente come la media dell'Eurozona, E questo era accaduto solo altre tre volte. Insomma, siamo tornati nel gruppo, ma non mi accontento, voglio la maglia rosa. E voglio ottenere la possibilità di fare più investimenti pubblici, per la crescita non serve il rigore di bilancio». La solita scudisciata «agli amanti dell'austerità». Ma ecco una promessa che farà felici Bruxelles e Angela Merkel: «Nel 2016 il debito tornerà a calare. Saremo inflessibili nel far scendere la curva del debito». Segue battuta: «Per la prima volta rivediamo al rialzo le previsioni della crescita. Io lo chiamo effetto-Padoan: Pier Carlo è molto prudente e ogni volta che cerco di alzare le stime, me le abbassa di mezzo punto. E ora le alziamo».

La platea però resta fredda. La svolta e gli applausi arrivano quando il premier racconta la sua frustrazione per lo scontro interno al Pd: «A turno mi hanno attaccato tutti, perfino Monti. La minoranza mi ha contestato sempre con un innegabile senso della coerenza».

Il ghiaccio è rotto. Scatta il fuoco di fila delle domande. Renzi conferma il taglio di Imu e Tasi: «Ormai dagli italiani sono considerate la tassa con la T maiuscola. Cancellarla è una proprità anche psicologica». E garantisce, il premier, che non serve una riforma delle pensioni: «Al massimo introdurremo flessibilità in uscita a parità di gettito». Poi, dopo aver detto che la spending review non produce risultati immediati, conferma la scelta di non abolire l'articolo 18 nel pubblico impiego: «Chi ha vinto un concorso non può essere licenziato dal sindaco o dall'assessore per ragioni politiche. Ma gli assenteisti devono essere licenziabili». Quando, Renzi non lo dice. Gli applausi arrivano ugualmente.

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