Referendum/1 Più opportuno votare per ogni singolo articolo

di Cesare Mirabelli
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Lunedì 11 Luglio 2016, 00:24
Ogni costituzione deve guardare lontano, essere “presbite”, per usare una espressione del giurista e costituente fiorentino Piero Calamandrei. Quindi non essere legata a contingenze prossime e mutevoli, per offrire invece una ossatura dell’ordinamento solida e stabile. Questo non significa una costituzione monumentale ed immutabile, che non richieda nel tempo revisioni e aggiornamenti. Una esigenza avvertita dalla stessa Assemblea costituente, che a suo tempo ha disciplinato la procedura speciale per le leggi di revisione costituzionale.

Con doppia deliberazione delle Camere, approvazione con maggioranza qualificata, e garanzia di un possibile referendum che confermasse la deliberazione parlamentare, se richiesto da una consistente minoranza, oppure da cinquecentomila elettori o da cinque consigli regionali.. Tuttavia è difficile ritenere che i costituenti, pur in una visione “presbite” e lungimirante, prefigurassero un testo di riforma composto da 41 articoli, sui 139 che compongono la costituzione, e che toccasse gran parte dell’ordinamento: Parlamento e procedimento legislativo, elezione del Presidente della Repubblica, autonomie regionali, elezione dei giudici costituzionali. L’ampiezza e l’incidenza della riforma sull’attuale ordinamento giustifica che il popolo, titolare della sovranità, sia chiamato ad esprimersi su di essa.

 

Circostanza ancor più opportuna, forse addirittura necessaria, se si considera che la riforma è stata legittimamente approvata dal Parlamento, ma che la legge elettorale che ha determinato la composizione di quest’organo rappresentativo è stata dichiarata in parte incostituzionale. In questa prospettiva, è significativo che nel richiedere il referendum convergano sia la minoranza, che ha contrastato la riforma, sia la maggioranza che la ha approvata. Ma l’ampiezza della riforma pone anche un problema sul quale si discute in questi giorni. L’elettore come si può orientare, e determinare il proprio voto, su argomenti che considera eterogenei ? Se è favorevole alle modifiche apportate al titolo I della costituzione, alla composizione ed alle competenze del Senato, deve approvare necessariamente anche le modifiche apportate al titolo II, con la forte limitazione delle autonomie regionali ? Naturalmente vale anche l’ipotesi inversa.

Ecco perché nel referendum per le abrogazione delle leggi ordinarie, diverso da quello confermativo previsto per poter emanare leggi di revisione della costituzione, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha individuato limiti impliciti a quanto prevede l’articolo 75 della costituzione: il quesito referendario deve essere omogeneo, deve consentire risposte univoche, e non può quindi riguardare una intera legge che contenga istituti diversi, costringendo l’elettore a tutto prendere o lasciare. Per le leggi di revisione della costituzione, l’articolo 138 prevede semplicemente che possono essere sottoposte a referendum popolare e non offre altre indicazioni. Se ne argomenta: nella loro unità e non per singole parti, o votando separatamente ciascuna parte.

Varrebbe il criterio formale, della unicità dell’atto normativo approvato dal Parlamento e sottoposto alla verifica della volontà popolare. Non offre indicazioni diverse la legge del 1970, che disciplina il referendum popolare, anche quello confermativo. Tuttavia se si ritiene che non siano omogenee e inevitabilmente interconnesse le “revisioni” della costituzione contenute nell’unico testo normativo, e che vi siano invece disomogeneità non componibili in un unico quesito referendario, al quale è possibile rispondere con un si oppure con un no complessivo, qualche problema si pone. Oltretutto una votazione forzosamente unitaria darebbe spazio all’idea di un referendum visto come plebiscito, sia sul testo costituzionale che copre quasi tutto l’ordinamento della Repubblica, sia sul governo che ha posto in Parlamento la fiducia su quel testo, e che la vedrebbe indirettamente confermata o negata dal corpo elettorale. Inoltre ne risulterebbe in qualche modo offuscato l’oggetto principale e proprio del referendum confermativo: valutare il contenuto della riforma proposta in ogni suo singolo elemento.

Dunque lo “spacchettamento” del referendum, in modo da articolarlo per singoli corpi omogenei, sarebbe politicamente opportuno, ma è tecnicamente difficile da percorrere, anche attraverso un contenzioso costituzionale istituzionalmente logorante.
Tuttavia tecnicamente difficile non significa impossibile. Un accordo generale consentirebbe una rivisitazione, anche legislativa, delle norme sui referendum dettate dalla legge del 1970, agevolando la strada per soluzioni innovative, adeguate alla novità di un problema originariamente non previsto.
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