Referendum, i sindaci minacciano chi non va ai seggi. L'azzardo di Zaia: «Obiettivo 60%»

Referendum, i sindaci minacciano chi non va ai seggi. L'azzardo di Zaia: «Obiettivo 60%»
di Claudia Guasco
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Sabato 21 Ottobre 2017, 09:21
dal nostro inviato
TREVISO L'ultima chiamata per il referendum sull'autonomia del Veneto è la festa della Lega a Treviso. Le salamelle sfrigolano sulla griglia, l'irruzione nel pomeriggio di un gruppo di antagonisti con fumogeni, sale grosso e volantini contro il segretario Matteo Salvini non ha rovinato la festa. L'ospite d'onore è il governatore Luca Zaia, intervistato da una troupe della tv catalana accolta dagli applausi degli elettori: «Il voto è l'unica via di uscita che i veneti hanno per svincolarsi una volta per tutte dal centralismo. Il 22 ottobre non solo è una pagina di storia del Veneto, ma rappresenta una pietra miliare per la Repubblica italiana».

RESIDUO FISCALE
Manca un giorno al voto, il presidente della Regione vuole l'investitura: il 50% più uno è il minimo sindacale, quello a cui punta è il plebiscito. L'obiettivo è il 60%, ma non si dice per scaramanzia. «Cosa faremo se non dovessimo raggiungere il quorum? Sarebbe finita. Qui ci giochiamo la reputazione di un popolo. Non possiamo perdere la partita», ammette il governatore. Così da settimane l'agenda di Zaia non ha un minuto libero: visita alla ditta di pane e grissini di Alessandro Benetton - figlio dell'imprenditore Luciano, il quale ha detto chiaro e tondo che la consultazione è una stupidata - inaugurazione di una casa di riposo, incontri con sindaci e cittadini. Ora è sul palco di Treviso per l'appello finale: «Metteremo in campo tutti gli strumenti previsti dall'articolo 116 e istituiremo delegazioni tecniche in grado di chiedere al governo tutte le 23 competenze e relative risorse che ci spettano secondo la Costituzione». È la faccia buona della «questione settentrionale», esplosa negli anni 90 con la battaglia anti tasse dei ceti produttivi. Oggi la parola magica è «residuo fiscale», ovvero quei 15 milioni di euro che il Veneto lascia ogni anno a Roma. E che adesso rivuole. «Ciò avverrà solamente se il si vincerà con grandi numeri - premette Zaia - Non posso certo andare a trattare sapendo che solo un veneto su due ha voluto l'autonomia. E se non raggiungiamo il quorum non diamo colpe ad altri. Vogliamo essere come Trento e Bolzano». Questa, afferma Zaia, «è l'occasione per dare un segnale forte a Roma», i veneti che vanno al voto «fanno paura».
La scommessa autonomista di Zaia richiede una partecipazione di massa al voto, per questo lo sgambetto del governatore lombardo Roberto Maroni che considera «buona» un'affluenza del 34% in Lombardia ha innervosito il Veneto, dove una partecipazione del genere sarebbe un sonoro fallimento. «Ognuno dovrebbe pensare a casa propria. Noi abbiamo il quorum, lui no», taglia corto piccato il segretario veneto della Lega, Gianantonio Da Re. La tensione è alta, si temono i complotti. Una catena di messaggi esorta gli elettori a pretendere la ricevuta del voto, prova tangibile onde evitare brogli.

UN VOTO, UNA BOTTIGLIA
Ma c'è anche chi la pretenderà come garanzia di fedeltà. «Dal 23 ottobre chiederò ai cittadini che vogliono parlare con il sottoscritto di portarmela. Non accetterò più richieste di sistemazioni di buchi, alberi, fossi se non mi dimostrano di aver votato», tuona il sindaco di Campo San Martino, Paolo Tonin. Nella sua scia altri primi cittadini, comportamento che la consigliera regionale del Pd Alesandra Moretti definisce «inaccettabile e di stampo fascista». A Rovaré una cantina regalerà una bottiglia ai primi cento clienti che si presenteranno con la ricevuta. Mentre promettono sconti un'agenzia viaggi, un'azienda di pulizie e persino un'impresa di pompe funebri. A richiamare all'equilibrio è il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia: «Autonomia non significa separazione. Semmai, può essere uno stimolo e un aumento di responsabilità verso un'integrazione più forte e attenta alle caratteristiche di ogni contesto e di ciascuna realtà».