Rai, De Siervo: sciopero sbagliato, tre reti pubbliche sono troppe

Luigi De Siervo
di Diodato Pirone
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Martedì 3 Giugno 2014, 09:12 - Ultimo aggiornamento: 09:13
Luigi De Siervo il presidente dell’Adrai, l’associazione dei dirigenti della Rai. L’unico organismo che non ha aderito allo sciopero dell’11 giugno indetto dalle altre sette sigle sindacali dei dipendenti Rai.



Dottor De Siervo, voi siete critici verso il taglio di 150 milioni alla Rai deciso dal governo ma siete contrari allo sciopero. Perché?

«Non vogliamo che gli italiani pensino che lo sciopero sia indetto per una difesa corporativa della Rai e di qual si voglia privilegio. Per questo non solo non aderiamo allo sciopero ma confidiamo che gli altri sindacati possano recedere da una iniziativa che rischia un effetto boomerang».



Ma, sciopero o no, non vorrà negare che la Rai non abbia qualche problema di spreco, di sovrapposizione e di privilegio.

«L’attuale dirigenza della Rai la lotta agli sprechi la sta già facendo. Abbiamo già iniziato la nostra traversata del deserto».



Tiri fuori qualche prova, per favore.

«Ci sono cifre consistenti che lo testimoniano. Nel bilancio 2012, nonostante la crisi della pubblicità, abbiamo varato tagli per circa 100 milioni, altri 100 milioni di minori spese sono scattate nel 2013 ed anche per il 2014 i tagli proseguono. Il tutto su un bilancio complessivo che si aggira su 2,5 miliardi. Si tratta, all’evidenza, di somme molto importanti. Dunque quello che si legge in questi giorni sui giornali, che descrivono la Rai come chissà quale baronìa del privilegio, è assolutamente parziale».



Voi, però, bollate come incostituzionale la richiesta dei 150 milioni fatta dal governo.

«Ci sono fior di pareri tecnici su questo nodo. Ma il punto non è questo».



E qual è?

«Noi vorremmo che l’intera questione dei tagli alla Rai dia vita ad una discussione feconda sul destino della Rai».



Cosa proponete?

«Visto che nel 2016 è previsto il rinnovo della convenzione sul canone, proponiamo di anticipare questa decisione a quest'anno. In sintesi chiediamo al governo di dire che Rai vuole. In questo quadro sarà naturale individuare le cose da fare».



E invece che sta accadendo?

«Con i 150 milioni il governo individua una cura prima di fare una diagnosi puntuale. Sul piano logico è assurdo».



Dottor De Siervo, non è che volete tirarla per le lunghe per evitare di fare la vostra parte?

«Faccio un esempio concreto così mi spiego meglio. Prendiamo la suddivisione della Rai in tre reti principali. E’ un’organizzazione ”antica”, figlia delle esigenze della prima repubblica. Noi proponiamo di aggiornarla all’Italia di oggi. Se si definisse questo progetto è evidente che la dirigenza dell’azienda sarà in grado di trarne le conseguenze anche in termini di risparmi. Un altro esempio? La governance. Se il nodo da sciogliere è il rapporto perverso fra la Rai e la politica, si affidi la guida dell’azienda ad un manager in grado di rispondere del suo operato all’opinione pubblica».



Insomma lei sostiene che la Rai non è la madre di tutti i privilegi cosa che paradossalmente lo sciopero rischierebbe di sancire.

«Molto puo' essere ancora fatto per migliorare la Rai, ma non c’è dubbio che la politica dei tagli, da tutti auspicati, l’abbiamo già avviata. Mentre per quanto concerne il prodotto le risorse umane interne alla Rai, a nostro giudizio, sono in grado di fare una buona televisione. Oggi molti dei nostri ”autori”, sono andati a lavorare fuori, ma ultimamente siamo riusciti a assumerne un paio e altri rientrerebbero se ce ne fossero le condizioni».



Quali condizioni?

«Si deve smettere di parlare della Rai come se fosse la nazionale di calcio con 60 milioni di allenatori. Il governo ci deve dire che modello di televisione e di Servizio Pubblico vuole. Discutiamone subito e non nel 2016».