Rilanciare la tivvù pubblica sul mercato pubblicitario e il «vorrei meno pubblicità» detto ieri da Lucia Annunziata significa volerla concentrare e fortemente aumentarla su certi canali e non spalmarla ovunque. Cominciare a far cambiare la Rai dal di dentro, per opera del tandem Maggioni-Campo Dall’Orto, quasi a prescindere (se non per la cruciale trasformazione del direttore generale in vero e proprio amministratore delegato come previsto nel ddl in Parlamento) dalla riforma generale che andrà in aula a Montecitorio il 19 ottobre. E che i più renziani considerano una sorta di «Gasparrina», quasi inservibile per stroncare, come si dovrebbe, il tradizionale potere politico a Viale Mazzini. Tanto è vero che nessuno, né il centrodestra e neppure i grillini, sta facendo barricate per fermarla e gli emissari dei partiti in Cda non la temono affatto. Dunque, ci si affida più a un’autoriforma - di concerto tra Viale Mazzini e Palazzo Chigi e che riguarderà fra non molto tempo l’informazione - piuttosto che alla riforma?
BRINDISI
E soprattutto nell’informazione e nella politica - come dice Michele Anzaldi, segretario renzianissimo in Vigilanza Rai - ha assunto una posizione centrale: «Prendiamo l’esempio delle primarie. Si è sempre deciso, da parte di tutti, di andarle a giocare a Sky e non nella tivvù di Stato». La Rai che a Renzi piacerebbe che fosse «come la Bbc», per ora è lontana dal poterlo diventare. Perchè non è previsto, nella legge che sarà approvata, il trasferimento della tivvù pubblica a una fondazione che si muove liberamente sui mercati, senza condizionamenti politici. Ma ciò che intanto si può fare, agli occhi di Renzi, oltre la razionalizzazione e la riorganizzazione del settore informazione è lo sforzo di riportare la Rai all’avanguardia tecnologica, una posizione che in passato questa azienda fu capace di occupare.
RENDITA
Ma oggi lo scenario è completamente cambiato e non soltanto dal punto di vista tecnologico e di mercato. Per esempio l’alfabetizzazione dei nuovi italiani e di chi arriva da fuori a vivere qui, così come la costruzione di una coscienza nazionale e di un’identità adeguate al tempo della globalizzazione, rientrano in quel modello di servizio pubblico che è simile a quello antico nel tentativo di inclusività ma anche diverso da esso. Perchè la storia è cambiata, mentre la Rai è sembrata non accorgersene. Adesso il bagno di realtà è cominciato. E il cavallo di Viale Mazzini non può concedersi l’ennesimo lusso o l’ennesimo spreco: quello di rispecchiare un mondo che non c’è più.
© RIPRODUZIONE RISERVATA