Rai, il contropiede del premier: così salveremo la tv pubblica

Rai, il contropiede del premier: così salveremo la tv pubblica
di Mario Ajello
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Domenica 4 Ottobre 2015, 22:54 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 08:21
Non si riconosceva nei panni che gli sono stati cuciti addosso: quelli del lottizzatore che dice di non voler mettere le mani nella Rai e invece ce le mette, quelli del normalizzatore del Tg3, del premier che lancia nuovi editti bulgari e si occupa di temi se non risibili altamente secondari come la crisi dei talk show. E allora? Il contropiede comunicativo di Renzi, di cui ieri si è avuta una prima prova, funziona così. Occuparsi di dare più soldi alla Rai, attraverso il canone che si abbassa (mossa nazional-popolare in linea con lo sforzo generale di riduzione fiscale) ma non lo si può più evadere. Dotare in questa maniera l’azienda della regola basilare di ogni impresa che è quella di sapere a inizio anno precisamente l’entità delle risorse su cui si può contare e questo, come si sa, è un principio sconosciuto da sempre alla Rai abituata a succhiare soldi allo Stato a fondo perduto senza preoccuparsi troppo di questioni contabili.



Rilanciare la tivvù pubblica sul mercato pubblicitario e il «vorrei meno pubblicità» detto ieri da Lucia Annunziata significa volerla concentrare e fortemente aumentarla su certi canali e non spalmarla ovunque. Cominciare a far cambiare la Rai dal di dentro, per opera del tandem Maggioni-Campo Dall’Orto, quasi a prescindere (se non per la cruciale trasformazione del direttore generale in vero e proprio amministratore delegato come previsto nel ddl in Parlamento) dalla riforma generale che andrà in aula a Montecitorio il 19 ottobre. E che i più renziani considerano una sorta di «Gasparrina», quasi inservibile per stroncare, come si dovrebbe, il tradizionale potere politico a Viale Mazzini. Tanto è vero che nessuno, né il centrodestra e neppure i grillini, sta facendo barricate per fermarla e gli emissari dei partiti in Cda non la temono affatto. Dunque, ci si affida più a un’autoriforma - di concerto tra Viale Mazzini e Palazzo Chigi e che riguarderà fra non molto tempo l’informazione - piuttosto che alla riforma?



BRINDISI L’ultima uscita di Renzi naturalmente sta facendo felicissima la Rai. E il mantra del premier è il seguente: «Così salveremo questa risorsa fondamentale per la cultura e per la crescita del Paese. E se la Rai si rimette in pista non c’è storia per nessuno». Si tratta di rianimare un’azienda decotta e in crisi di ascolti, di creatività, di produttività e di avviare una nuova concorrenza. Sia con Mediaset, a cui non può che dispiacere il recupero dell’evasione del canone e l’aumento di dotazioni finanziarie per il competitor, sia e forse ancora di più con Sky. Che ormai fa servizio pubblico. Non è più solo per abbonati. Ha lo sport che la Rai non ha più.



E soprattutto nell’informazione e nella politica - come dice Michele Anzaldi, segretario renzianissimo in Vigilanza Rai - ha assunto una posizione centrale: «Prendiamo l’esempio delle primarie. Si è sempre deciso, da parte di tutti, di andarle a giocare a Sky e non nella tivvù di Stato». La Rai che a Renzi piacerebbe che fosse «come la Bbc», per ora è lontana dal poterlo diventare. Perchè non è previsto, nella legge che sarà approvata, il trasferimento della tivvù pubblica a una fondazione che si muove liberamente sui mercati, senza condizionamenti politici. Ma ciò che intanto si può fare, agli occhi di Renzi, oltre la razionalizzazione e la riorganizzazione del settore informazione è lo sforzo di riportare la Rai all’avanguardia tecnologica, una posizione che in passato questa azienda fu capace di occupare.



RENDITA E ancora: la Rai da troppo tempo vive di rendita e adagiata su un bacino di utenza che abbraccia i pensionati ma si disinteressa della parte attiva del Paese.
Ma oggi lo scenario è completamente cambiato e non soltanto dal punto di vista tecnologico e di mercato. Per esempio l’alfabetizzazione dei nuovi italiani e di chi arriva da fuori a vivere qui, così come la costruzione di una coscienza nazionale e di un’identità adeguate al tempo della globalizzazione, rientrano in quel modello di servizio pubblico che è simile a quello antico nel tentativo di inclusività ma anche diverso da esso. Perchè la storia è cambiata, mentre la Rai è sembrata non accorgersene. Adesso il bagno di realtà è cominciato. E il cavallo di Viale Mazzini non può concedersi l’ennesimo lusso o l’ennesimo spreco: quello di rispecchiare un mondo che non c’è più.
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