Intervista al professor De Rita: «Politica senza visione, i cittadini fanno da soli»

Intervista al professor De Rita: «Politica senza visione, i cittadini fanno da soli»
di Mario Ajello
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Domenica 14 Gennaio 2018, 09:31
Professor De Rita, secondo lei i cittadini credono ancora alle promesse elettorali?
«Non ci credono. Per due ragioni. La prima è che le considerano fatte ad arte, sospettano che dietro le promesse da campagna elettorale ci siano artifici».

La seconda ragione?
«Sta nel fatto che gli italiani credono che nessuno di coloro che promette qualche cosa, e naturalmente le promesse sono sempre altisonanti, avrà poi la forza di attuare quelle proposte. Sanno che si tratta di vane promesse, che non diventeranno decisioni reali».

Ma allora perché i partiti insistono nel proporre quelle che il presidente Mattarella definisce «ricette miracolistiche»?
«Perché sono abituati a fare così. E del resto, anche se ci si candida a presiedere la bocciofila di Abbiategrasso o di Sapri, si fa un programma. Il meccanismo programmatico è funzionale alla proposta di una leadership. Se poi quei programmi non saranno rispettati, è un altro discorso».

I leader in corsa le sembrano in grado di tenere fede alle proposte che vanno facendo?
«E' improbabile che un politico, oggi, possa mantenere le proprie promesse. Ed è sempre pronto a dire, nel caso arrivi al governo: non è colpa mia ma dei miei alleati se non riesco a fare ciò che ho detto, è il Parlamento che mi frena, è l'Europa che me lo impedisce, non ci sono i tempi, sono cambiate le condizioni generali... Il punto è che non si capisce se ci si presenta con una proposta senza ciclo di continuità oppure con una proposta di ciclo preciso per i prossimi cinque anni».

Può spiegare meglio questo discorso?
«Io sono un continuista fottuto».

Cioé?
«Ritengo che l'evoluzione italiana degli ultimi 60 sia stata un continuo di comportamenti sociali e non di decisioni politiche. Partiamo dal dopoguerra. Dalla ricostruzione in poi, il miracolo italiano, lo sviluppo economico, l'esplodere dell'economia sommersa, la diffusione della piccola impresa, l'arrivo del made in Italy non sono stati una successione di colpi di genio della politica. E negli ultimi dieci anni abbiamo resistito a una delle più gravi crisi economiche non grazie alla politica, ma grazie ai comportamenti dei cittadini».

Sta dicendo che promesse e programmi sono superflui?
«Sto dicendo, per esempio, che negli ultimi anni anche la relativa capacità degli italiani di fare austerità, di auto-controllare i propri consumi, di diventare più sobri non è stata indotta da decisioni governative, ma è stata l'espressione di un carattere nazionale. Il nostro scheletro è contadino. Siamo prudenti e attenti, e ciò ci ha consentito di superare la crisi».

Questa insomma è la filosofia continuista di De Rita?
«Mi prendo anche in giro per questa mia impostazione. Però ritengo che la politica non proponga più alcun salto psicologico e allora noi italiani siamo continuisti, non crediamo più a grandi cambiamenti».
Alle elezioni però i partiti non possono essere continuisti, devono dire qualcosa di nuovo: non crede?
«Lo credo. E infatti, ognuno dice la sua».

Va di moda, in maniera bi-tri-quadripartisan, annunciare l'abolizione delle leggi del passato. Che cosa ne pensa?
«E' un modo per mostrarsi discontinui. Ma per esserlo davvero, bisognerebbe proporre qualcosa di nuovo che sia attuabile nel breve periodo».

Per esempio?
«La Dc, nelle campagne elettorali del 48 e dei primi anni 50, s'inventò la riforma agraria che poi fece subito dopo. E questa riforma cambiò l'Italia. I democristiani s'inventarono anche la Cassa del Mezzogiorno, e questa proposta ebbe un appeal programmatico forte. La gente credette che questo progetto si sarebbe potuto realizzare. Infatti si realizzò, anche se non ha avuto grande successo».

I politici di un tempo erano più pratici ma allo stesso tempo più dotati di visione?
«Prendiamo Bettino Craxi. Disse da premier all'inizio degli anni 80: voglio che l'Italia entri nel G7 e riuscì a farla entrare nel novero dei Paesi più sviluppati. Gli italiani si sentirono coinvolti nel raggiungimento di quell'obiettivo. E potrei fare altri esempi. Come quello delle decisioni di Giuliano Amato nella crisi della lira nei primi anni 90. Oggi la popolazione è più scettica perché non riesce a capire quel è il fine delle proposte dei politici».

Ma nell'abolire le tasse universitarie o eliminare il canone Rai o introdurre la Flat Tax non può esserci un fine in sé?
«Sono proposte estemporanee. Forse, dovremmo ricominciare a ragionare su un ciclo. Ovvero dire: in cinque anni, o due o dieci, potremo fare questo, questo e questo. Invece di sparare proposte a casaccio, senza stabilire un tempo».

Il micro-targeting è quello che va di più. Si studiano le aspettative di un segmento dell'elettorato e si fa una promessa mirata in quella direzione. Non è un segno di pragmatismo, privo di generalizzazioni?
«Il micro-targeting non è fare una proposta politica vera. Serve soltanto per fare cronaca, per riempire talk show e giornali. Manca una visione della società. E siccome non si ha una vera idea di dove portare la società, allora la si lasci andare lungo la strada della sua continuità. Che sarà sempre più potente di qualsiasi nostra idea».
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