Giù il petrolio su il dollaro il nuovo anno in altalena

di Romano Prodi
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Sabato 3 Gennaio 2015, 23:53 - Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 20:31
Come in ogni fine d’anno ci siamo tutti sbizzarriti nelle analisi di quanto era accaduto negli ultimi dodici mesi e di cosa si poteva prevedere per l’anno che ci sta davanti. Oggi vorrei brevemente riflettere sui probabili eventi esterni che più influiranno nel prossimo futuro sull’economia italiana, ben sapendo che in ogni caso accadranno cose del tutto impreviste (cose belle o cose brutte) che oggi nemmeno immaginiamo, come dodici mesi fa non prevedevamo né l’aggravarsi delle tensioni in Ucraina né, salvo rare eccezioni, il crollo dei prezzi del petrolio.



Nell’elenco dei problemi futuri ci conviene quindi partire da una riflessione sull’evoluzione e sulle conseguenze di questi due eventi che già sono in corso. Cominciamo dal petrolio: analizzando la durata delle due ultime fasi del crollo dei prezzi si deve pensare che l’attuale periodo di basse quotazioni si prolunghi per un notevole periodo di tempo.



Data l’assoluta mancanza di reazione dei paesi produttori di fronte alla scarsità della domanda è infatti molto probabile che il periodo di depressione del mercato energetico si estenda ben oltre l’anno appena iniziato. Un elemento positivo per la nostra bilancia commerciale e per gli effetti positivi che la diminuzione del costo dei carburanti può provocare sul potere d’acquisto degli italiani, anche se questo effetto è mitigato dall’elevata componente fiscale del prezzo dei carburanti e dall’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro dato che i prezzi internazionali del petrolio sono denominati in dollari.



Le conseguenze positive della caduta dei prezzi dell’energia saranno tuttavia fortemente temperati dal peggioramento dell’economia dei paesi produttori, soprattutto di quelli economicamente più importanti per il nostro export, come la Russia e la Libia.



Riguardo alla Russia, al calo dei prezzi del gas e del petrolio si unisce l’effetto delle sanzioni conseguenti la crisi ucraina, per cui il Pil russo subirà nell’anno in corso una diminuzione intorno al 5% facendo crollare di almeno il doppio le importazioni dall’Italia. Senza entrare nel merito dell’utilità o della necessità delle sanzioni conviene tuttavia mettere in rilievo l’asimmetria delle loro conseguenze dato che, nonostante il 50% di svalutazione del rublo nei confronti del dollaro, le esportazioni americane in Russia stanno tuttora aumentando, del tutto in controtendenza rispetto a quelle europee. Quanto alla Libia si tratta di un paese di dimensioni più modeste ma nel quale l’Italia aveva un’assoluta primazia. Una primazia che ancora conserviamo ma in un mercato che rimarrà con ogni probabilità completamente destabilizzato anche nei prossimi mesi.



Il terzo elemento da tenere in considerazione è l’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro: era un evento sperato che si è concretizzato negli ultimi mesi portando il tasso di cambio intorno a 1,20 dollari per euro. Anche se non abbiamo mai pensato che esista un rapporto di cambio giusto fra due monete dobbiamo ammettere che oggi ci stiamo avvicinando ad un maggiore equilibrio, che sarà probabilmente protetto e garantito anche nei prossimi mesi dalla politica di bassi tassi sulla quale si basa l’attuale strategia della Banca Centrale Europea. Naturalmente quest’apprezzamento della moneta americana costituisce un problema per molti paesi emergenti che, a partire dal Brasile, sono fortemente indebitati in dollari. Essi assorbiranno con sempre maggiore difficoltà le nostre esportazioni.



Queste riflessioni riguardano eventi già in corso ma vi sono possibili eventi futuri che meritano una riflessione. Il primo riguarda le imminenti elezioni greche. Difficile fare previsioni, ma se vi fosse un’affermazione di Syriza si produrrebbero notevoli conseguenze anche nella politica europea perché Alexis Tsipras, pur essendo a capo di una coalizione eterogenea e per molti aspetti imprevedibile, non intende affatto uscire dall’euro in prima battuta (come i nostri partiti populisti) ma vuole ridiscutere dalle fondamenta tutta la politica economica dell’Ue ed in particolare il problema del debito sovrano, condizionando un’eventuale secessione al fallimento di queste trattative.



Non è affatto certo che Tsipras vinca e soprattutto che vinca in modo da potere governare da solo ma, se questo avvenisse, l’Unione Europea verrebbe per la prima volta messa di fronte al dilemma fra l’uscita di uno dei suoi membri e l’adozione di una politica economica del tutto nuova rispetto a quella messa in atto fino ad ora. È vero che l’economia greca ha una dimensione modesta (poco più del 2% del Pil europeo) ma le conseguenze dei possibili eventi messi in precedenza in rilievo non potrebbero non riverberarsi sul quadro generale della politica europea, soprattutto nei confronti dei paesi più indebitati, tra i quali l’Italia.



Un altro possibile, anche se meno probabile, evento deve oggi essere preso in considerazione. Mi riferisco all’indebolimento dell’economia della Germania, dove gli enormi sussidi per incentivare le energie alternative, la debolezza degli investimenti pubblici e privati e il perseguimento del bilancio in pareggio stanno rallentando una corsa che, negli ultimi anni, appariva sempre sostenuta. Non si tratta di fenomeni che avranno conseguenze immediate ma che renderanno necessario in un futuro non lontano, ossia in un periodo che potrà anche essere compreso nei tempi dell’anno in corso, il riesame della politica economica interna tedesca e, di conseguenza, di tutta la politica economica europea.



Naturalmente gli eventi più importanti dell’anno appena iniziato saranno quelli che non sono qui previsti: sarà tuttavia opportuno preparare fin da ora la politica italiana a evitare i danni e a godere invece dei vantaggi degli eventi che oggi riteniamo possibili. Per gli altri affidiamoci pure alla Provvidenza.