Obiettivo governo/ Proporzionale ultima sfida: verso i partiti coalizione

di Alessandro Campi
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Sabato 1 Aprile 2017, 00:05
Della legge elettorale, hanno deciso i partiti dopo un deplorevole stallo durato quattro mesi, se ne riparlerà a fine maggio. Vale a dire dopo che il congresso avrà nominato il nuovo segretario del Pd. A quel punto si tratterà di mediare tra le tante proposte che circolano nei palazzi della politica (alla Commissione Affari costituzionali ne sono state ufficialmente depositate una trentina).

Proposte tra di loro assai diverse. I grillini, ad esempio, vorrebbero estendere al Senato la legge elettorale sostanzialmente proporzionale che la sentenza della Corte Costituzionale, demolendo l’Italicum, ha confezionato per la Camera. Un’ipotesi che piace ovviamente moltissimo ai piccoli partiti in cerca di una sopravvivenza parlamentare: dai centristi ai fuoriusciti dal Pd.

Renzi e i renziani, come la Lega di Salvini, sono invece grandi sostenitori del Mattarellum. Una soluzione che non piace invece a Forza Italia: Berlusconi, in passato grande fautore del maggioritario, oggi lo avversa. Ufficialmente vorrebbe armonizzare gli attuali sistemi di voto della Camera e del Senato prevedendo, in particolare, un premio di maggioranza che vada alle coalizioni e non alla singola lista. Potrebbe così provare a ricostruire l’alleanza di centrodestra. Ma il suo obiettivo recondito, che lo fa tifare per il proporzionale, è un altro: rendersi indispensabile, con i voti che Forza Italia riuscirà a raccogliere correndo da sola, per qualunque coalizione parlamentare si cercherà di formare dopo che il voto avrà certificato la mancanza di un vincitore unico.

È la vecchia e assai democristiana politica dei due forni.
Se questo è il quadro, l’idea che si possa trovare un accordo su un nuovo sistema di voto – magari grazie al pressing discreto del Quirinale – pare in effetti un’eventualità remota. Ma se il compromesso non si trova, se dunque si andrà a votare con la legge che abbiamo fatte salve alcune piccole e necessarie limature tecniche, qualcosa i partiti dovranno inventarsi. Non tanto il M5S, che viaggia a gonfie vele nei sondaggi e che viene già indicato come il vincitore alle urne (anche se lontano dalla soglia del 40% che farebbe scattare alla Camera il premio di maggioranza). Quanto piuttosto i suoi più diretti competitori, a partire dal Pd e da Forza Italia.

In questo momento centrodestra e centrosinistra soffrono di una crescente frammentazione interna e di un eccesso di personalismi: tra scissioni, litigi e conflitti dettati dall’ambizione dei singoli stanno oggettivamente facendo un grande regalo al M5S. Andare a votare, come è possibile, con una legge elettorale d’impianto proporzionale rischia di favorire ulteriormente le divisioni, i dissapori e il moltiplicarsi delle sigle. Ma ciò significherebbe una competizione asimmetrica (e già in prospettiva perdente) tra partiti e partitini interessati a difendere ognuno il proprio orticello elettorale e la propria supposta identità e una formazione, come è quella di Grillo, che non è soltanto determinata, battagliera e molto più compatta al suo interno di quanto si creda, ma soprattutto capace di raccogliere simpatie e consensi in modo trasversale.

Per paradossale che possa sembrare, bisognerebbe avere la forza di ragionare con una logica di tipo maggioritario e aggregante anche nel contesto proporzionale nel quale siamo improvvidamente rimpiombati. Con gli elettorati che sono ormai mobili, fluidi e svincolati dalle vecchie credenze, i richiami identitari dei partiti (che spesso sono già aggregazioni di culture e sensibilità molto diverse tra di loro tenute insieme da un singolo leader) appaiono decisamente fuori del tempo, oltre ad essere perdenti. Se la legge elettorale al momento non permette e non premia la creazione di coalizioni o alleanze, nulla impedisce di guardare pragmaticamente alla nascita di partiti-coalizioni attraverso i quali provare a tenere insieme, sotto una stessa sigla, sensibilità, umori e interessi che oggi non hanno nulla a che vedere con le appartenenze ideologicamente ispirate che erano proprie ad esempio della Prima Repubblica. Così facendo centrosinistra e centrodestra avrebbero forse qualche possibilità in più di vittoria: certamente sarebbero più competitivi di quanto oggi non siano a furia di divisioni e litigi.

La forza del M5S è il suo eclettismo, il suo tenere insieme, grazie al collante del risentimento sociale e della rabbia rivolta contro l’establishment, le istanze più diverse. Per fare un altro esempio, anche la forza in Francia di Macron, che da candidato outsider è divenuto il più plausibile vincitore per la corsa all’Eliseo, consiste nell’aver messo insieme pezzi significativi della società francese di diversa provenienza sociale, culturale e politica, uniti nel suo caso da un disegno riformatore d’ispirazione europeista.

Fatte salve tutte le differenze, una simile prospettiva potrebbe valere anche per Renzi e Berlusconi se veramente, come sostengono, non vogliono regalare l’Italia a Grillo. Il che significa che invece di pensare a governi di grande coalizione tra di loro (già la sola idea è un regalo propagandistico fatto al M5S) dovrebbero piuttosto provare a ritessere rapporti e alleanze ognuno all’interno della propria area socio-politica di riferimento: riaggregando le energie disperse, provando a smussare le posizioni più radicali (ma senza emarginarle, visto che esse spesso esprimono istanze legittime), recuperando i propri elettori delusi, immaginando proposte e programmi originali che possano trovare il consenso dei due vasti mondi elettorali rappresentati rispettivamente dai progressisti e dai moderati (con le loro inevitabili sfumature interne).

Il passaggio dalle coalizioni di partito, come le abbiamo conosciute nel passato, al partito-coalizione sembra un gioco di parole. Ma probabilmente è una necessità imposta dagli eventi e dalle condizioni attuali. Vuol dire semplicemente aggregare le forze invece che disperderle, guardare a ciò che unisce invece che a ciò che divide. Vuole dire, se proprio andremo a votare col proporzionale, creare le condizioni per una battaglia elettorale dall’esito non scontato e che forse potrebbe persino riservare qualche sorpresa a chi già immagina Luigi Di Maio o chi per lui nei panni di futuro Presidente del Consiglio.

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