Migranti, le Ong spaccate sulla stretta

Migranti, le Ong spaccate sulla stretta
di Sara Menafra
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Domenica 23 Luglio 2017, 11:21 - Ultimo aggiornamento: 21:03

La riunione con il Viminale è convocata per martedì prossimo, ma nessuno si aspetta che sarà quella definitiva. In tempi rapidi, però, almeno stando a quello che prevede il ministero degli Interni le organizzazioni umanitarie dovranno decidere se accettare oppure non il «codice di comportamento» scritto per regolamentare il comportamento delle navi umanitarie che partecipano al soccorso dei migranti in mare. Nei disegni che il ministo degli interni Marco Minniti ha espresso finora, non potrà esserci nessuna mediazione: il codice è così, prendere o lasciare. Non ha nessuna valenza di legge, è vero, ma per chi non firma sarà più difficile cooperare con l'Italia e attraccare in tempi rapidi nel porto più vicino come avviene ora.

LE DIVISIONI
Le organizzazioni umanitarie, dal canto loro, stanno provando ad abbozzare un fronte comune per valutare il da farsi. Due giorni fa, a Roma, c'è stata una prima riunione tra i principali rappresentanti umanitari nel tentativo di costruire un cartello che obblighi il Viminale a scendere a patti su alcuni punti fondamentali dell'accordo. Ma non tutte le organizzazioni hanno la stessa posizione. Anzi, il fronte è spaccato in almeno tre posizioni diverse. Da un lato ci sono quelle più aperte a collaborare con il governo, ad esempio Save the children, che si è detta favorevole all'accordo. Dall'altro gruppi importanti come, in particolare, Medici senza frontiere, che punta a trovare un intesa e proseguire con i soccorsi, ma che per statuto non può accettare la presenza di militari o polizia a bordo delle navi o all'interno delle strutture della missione. Infine, alcune organizzazioni internazionali con sede all'estero, in particolare le tedesche Sea Eye e Sea Watch decise a rompere qualunque intesa e a proseguire con i soccorsi così come avvengono oggi, forti del fatto che in caso di emergenza umanitaria è impossibile negare aiuto o chiudere i porti a lungo.

LA RIUNIONE
Nella riunione di due giorni fa, le organizzazioni hanno convenuto sul fatto che ci siano in particolare due punti che il governo dovrebbe rivedere: la presenza di ufficiali di polizia giudiziaria a bordo delle navi umanitarie, appunto, e il divieto di trasbordo in mare dei soccorsi. «Il divieto di trasbordo in mare ha alcuni aspetti ambigui, - spiega l'avvocato Fulvio Vassallo Paleologo - soprattutto perché quello proposto è un accordo, non una legge. Davanti ad un'emergenza, sottrarsi all'obbligo di soccorso e messa in sicurezza in forza di questo codice potrebbe essere persino più grave che contravvenire all'intesa». «Se questo Codice di condotta fosse attuato ci sarebbero meno navi disponibili nell'area di ricerca e soccorso e questo potrebbe condannare le persone in pericolo nel Mediterraneo ad una morte certa», aveva detto giorni fa Marco Bertotto, dirigente di Msf.

Visto che una posizione comune non c'è, le organizzazioni umanitarie per il momento puntano soprattutto ad avviare una trattativa col governo. Anche perché su alcuni punti, a cominciare dalla presenza di ufficiali di polizia giudiziaria a bordo, molto dipenderà dal «quanto» e dal «come».

Anche il governo, che formalmente non è disponibile a trattare, potrebbe aprire ad una trattativa. Con l'obiettivo di confermare la cooperazione con le organizzazioni più accreditate e, parallelamente, incassare un impegno europeo sul tema dell'accoglienza. Che obblighi soprattutto i falchi, Austria e Ungheria in testa, al passo indietro

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