La manovra 2016/Solo investendo nelle imprese si ottiene più crescita

di Romano Prodi
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Domenica 10 Aprile 2016, 00:20
Ogni anno la presentazione del Documento di Economia e Finanza (il così detto Def) primeggia nelle notizie, nei commenti e nei dibattiti del nostro Paese. Quest’anno, al contrario, lo troviamo invece più nelle seconde pagine che nei titoli di testa. Una prima spiegazione può derivare dal fatto che nei media si leggono argomenti rispetto ai quali l’opinione pubblica mostra maggiore attenzione, come il caso Regeni, i dossier di Panama e le riflessioni di Papa Francesco sulla famiglia. Una seconda ragione trova spiegazione nel fatto che le incertezze della politica mondiale e il flusso incessante di nuovi dati economici obbligano continuamente a cambiare interpretazioni e previsioni per cui, alla fine, anche un osservatore attento finisce col capirci ben poco e, quindi, interessarsi ancor meno dell’argomento.
A tutte queste buone ragioni se ne aggiunge una terza, a mio parere assai più importante, che la centralità della gestione dell’economia italiana si è sempre più spostata verso il confronto con Bruxelles. Questo confronto è stato solo aperto dalla presentazione del documento ma si protrarrà fino ad ottobre quando esso dovrà avere l’approvazione definitiva degli organi comunitari. A questo obiettivo guarda visibilmente il Def presentato dal ministro Padoan, documento che corregge al ribasso le prospettive di crescita del nostro Paese per il 2016 ma che rende ugualmente possibile il raggiungimento dei nostri obblighi nei confronti dell’Unione Europea.

Per l’anno in corso viene quindi prevista una crescita del Pil nell’ordine dell’1,2%, crescita inferiore a quella che il Governo prospettava nello scorso ottobre (che era dell’1,6%), un poco superiore a quella che presentano i centri di ricerca più autorevoli come Prometeia (1,0%) ma ugualmente compatibile con gli aggiustamenti necessari per raggiungere il doveroso compromesso con Bruxelles.
 
Si è trovato quindi un punto di equilibrio che non entusiasma nessuno, che produce qualche punto interrogativo ma che, proprio per la crescente dipendenza da fattori esterni da parte della nostra economia, non può nemmeno suscitare drastiche opposizioni. Naturalmente i controllori europei hanno già messo le mani avanti e il commissario Katainen si è affrettato a dichiarare che l’Italia ha già avuto sufficienti concessioni e non potrà ottenere maggiore flessibilità in futuro. Il nostro Paese dovrà quindi, secondo Katainen, portare avanti un’unica priorità, quella di tenere fede agli impegni di rigore assunti in sede europea. Impegni che sono possibili ma non certo facili da raggiungere perché, per evitare imposte aggiuntive, essi implicano cospicui tagli alla spesa pubblica e un introito di otto miliardi di privatizzazioni che, anche secondo le stesse dichiarazioni di coloro che le dovrebbero mettere in atto come nel caso delle ferrovie, appaiono di assai complessa attuazione.

Non è inoltre scontato un tasso di sviluppo dell’1,2% per l’anno in corso, data la diminuzione della crescita mondiale e il cattivo andamento del commercio internazionale che è stato, negli ultimi anni, uno degli elementi di maggior sostegno dell’economia italiana.

In secondo luogo si dovranno prendere in considerazione le modalità e gli effetti della politica monetaria europea che, come ha messo in rilievo il governatore della Banca d’Italia, ha dato un sostanziale contributo positivo alla crescita italiana. Anche se non vi sono accenni al cambiamento di questa politica non si può infatti pensare che la Banca Centrale Europea possa ulteriormente aumentare il proprio contributo al sostegno della zona Euro. Non che la Bce abbia esaurito tutte le sue munizioni ma, quando si entra in un quadro di tassi di interesse negativi come è la situazione attuale, diventa sempre più difficile che essa possa inventare nuovi interventi utili alla crescita dell’economia europea.

In questa situazione di incertezza lo strumento di maggiore efficacia in mano al governo per accelerare la crescita diventa l’uso di misure interne, a partire dagli investimenti che devono essere portati dall’attuale 16,50% del Pil intorno al 20%, come era la situazione nel periodo precedente la crisi. Un obiettivo non certo facile ma possibile innanzitutto attraverso le riforme che abbiamo il dovere di compiere.
La prima riforma è quella di innovare la legislazione in corso, a partire dalla legge sulla concorrenza che soggiorna da tempi infiniti nelle aule del parlamento. Sarà inoltre utile accelerare la messa in atto gli interventi previsti dal piano Junker e incentivare gli investimenti dedicati all’aumento di produttività delle nostre imprese. Con la presentazione del Def non si è quindi chiuso un ciclo ma si è compiuta solo una tappa di un processo che durerà a lungo e richiederà l’impegno di tutti.

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