M5S, dal giustizialismo alle garanzie: la parabola dei fedeli di Beppe

M5S, dal giustizialismo alle garanzie: la parabola dei fedeli di Beppe
di Mario Ajello
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Venerdì 13 Maggio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:19
La scoperta del garantismo è sempre una buona notizia. Chiunque riguardi. Ora per una sorta di nemesi riguarda i 5 Stelle che sembrano avere scoperto improvvisamente, sotto i colpi delle inchieste che li investono, Montesquieu e Beccaria. E le loro critiche antiche ma modernissime ai divieti esorbitanti, ai castighi sproporzionati, ai giudizi arbitrari. «Mi raccomando, non fate i forcaioli!», è il grido del contrappasso. E’ il paradosso che anima i grillini una volta passati da inflessibili accusatori dell’intera classe politica ad amministratori alle prese con la difficoltà di governare le diciassette città in cui vinsero alle ultime elezioni comunali.

APPRODO Chissà se siamo davvero all’approdo, da parte di un movimento abituato a umori opposti, all’idea che le fondamenta dello Stato di diritto poggiano sul terreno del garantismo penale. Di sicuro, la bufera che si sta abbattendo sui sindaci grillini fornisce una lezione di carattere generale. E cioè che in Italia le questioni giudiziarie non devono essere usate né come elementi di lotta politica né come elementi di invidia sociale. Un Paese a cui manca una cultura condivisa sulla giustizia, e sulle regole e sui limiti che la riguardano, non può che generare tifoserie, mostri e alla fine clamorosi ribaltamenti come quello in corso. Gli alfieri della purezza ”manipulitista” e i paladini della presunzione di colpevolezza (degli altri) si trovano nella condizione dei giustizialisti finiti sotto giudizio. Questo è uno dei rovesciamenti a cui vanno incontro i partiti populisti, nati per stare all’opposizione, quando sono chiamati a governare.

 

E pensare che i Vaffa Day erano una sorta di festival della mostrificazione giudiziaria. Il grido «se uno è indagato deve lasciare» è stato il grande mantra ideologico. Quando ad Alfano è arrivato un avviso di garanzia per abuso d’ufficio, come quello piovuto su Pizzarotti, Luigi Di Maio ha scritto un tweet: «Se ne vada via entro cinque minuti» (25 febbraio 2016, ore 21,34). Adesso invece il lessico s’è ribaltato. Quasi che il grillismo abbia scoperto l’idioma che ai loro occhi odorava di mastellismo: «Bisogna prima vedere le carte... No allo strapotere della magistratura...». Di più, come dice Virginia Raggi: «No agli avvisi di garanzia usati come manganelli». Sembra passato un millennio rispetto al tempo, vicinissimo, in cui non pareva azzardato metaforicamente accostare i grillini alle «tricoteuses» della rivoluzione giacobina, le vecchiette parigine che trascorrevano le loro giornate ricamando in piena letizia e tranquillità sotto la ghigliottina su cui salivano gli altri. Il grido «onestà-onestà-onestà» è risuonato sempre e anche ai funerali di Casaleggio. Ed è stato respinto con perdite lo storico Aldo Giannuli, considerato un consigliere politico di Grillo, quando ha cercato di avanzare presso il leader una posizione così: «I parlamentari dovrebbero essere più coraggiosi nel difendersi dall’oltranzismo delle procure». Alla luce delle novità, questa impostazione eretica verrà ripresa in considerazione?

APOSTATI A proposito di eretici, la nemesi dei 5 stelle è plurima. Comprende anche il fatto di dover difendere dai giudici un tempo eroi il primo simbolo del governo grillino, il sindaco Pizzarotti, poi diventato più o meno un traditore della causa agli occhi degli ortodossi e dei vertici pentastellati. E ancora. Per uno scherzo del destino, l’avviso di garanzia a Pizzarotti piove proprio nel giorno in cui nove sindaci di destra e di sinistra scrivono una lettera pubblica, per dire che il rischio di un’indagine giudiziaria è diventato purtroppo connaturato al mestiere del governare. I grillini, in un altro momento, avrebbero chiamato i carabinieri o scatenato gli inquisitori contro gli autori di tale bestemmia. Adesso non lo farebbero più. E magari si metteranno a leggere i libri di Benedetto Croce, il quale potrebbe insegnargli questo: «L’onestà politica coincide con la capacità politica».
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