Letta: non mi dimetto, Renzi come D’Alema con Prodi

Letta: non mi dimetto, Renzi come D’Alema con Prodi
di Alberto Gentili
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 12 Febbraio 2014, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 10:21
Ho fatto male a fidarmi di Renzi, dovevo agire prima. Ma non mi fermo e non mi dimetto, Matteo dovr assumersi per intero la responsabilit di questo agguato. Si sta comportando come fece D’Alema con Prodi. Enrico Letta non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. Nonostante che nei palazzi della politica si parli ormai esclusivamente del nuovo governo targato Matteo Renzi, con tanto di data per l’incarico (venerdì o sabato) e lista dei ministri. E tantomeno il premier punta agli Esteri o alla Commissione europea come “premio di consolazione”: «Chi avanza queste proposte», dice un suo parlamentare, «ha degli standard morali e di dignità della politica molto diversi da quelli di Enrico».



Letta, un po’ come fece Romano Prodi con cui guarda caso si è abbracciato ieri a Milano, ha deciso di sfidare il suo partito. Di andare domani allo show down con Renzi nella Direzione del Pd. «Matteo non ha mai detto di voler fare il premier, lo dicesse chiaro e forte. E poi dovrà sfiduciarmi», è il grido di battaglia di Letta. E questa mattina potrà dirglielo in faccia, visto che è in programma un incontro tra i due a palazzo Chigi. Poi chissà, potrebbero arrivare quelle dimissioni che fino a tarda notte venivano escluse «ca-te-go-ri-ca-men-te».



LA WAR ROOM

Ai collaboratori e parlamentari riuniti in serata nello studio, in una sorta di gabinetto di guerra, Letta ha spiegato la strategia: «Vado fino in fondo e non mi dimetto. Tutto deve avvenire alla luce del sole, tutti devono capire». Non senza un filo di rammarico per aver rinviato di settimana in settimana il famoso rilancio: «Mi era stato chiesto di aspettare, perché prima doveva partire il treno delle riforme e io non dovevo intralciarlo con la ripartenza del mio governo. Guardate come è finita...».



Per rendere a Renzi l’ascesa al trono più difficile e indigesta, oggi Letta in una conferenza stampa lancerà il “patto di coalizione”. Parlerà di abbassamento delle tasse, di legalità, di lotta alla disoccupazione giovanile e alla burocrazia tramite le semplificazioni, di investimenti pubblici. «Con uno stringente timing di realizzazione». Farà presente che per attuare un programma così ambizioso non ci devono essere date di scadenza: «Il patto sarà di legislatura, fino al 2018». In più, dirà che «serve continuità, per intercettare immediatamente la ripresa economica». Quella continuità che Renzi non può garantire.



Poi, domani, Letta affronterà (a meno che il faccia a faccia con il segretario non produca novità) il patibolo della Direzione del Pd. «Ormai Enrico è spacciato», dice uno stretto collaboratore di Renzi, «e così facendo andrà a sbattere e si farà male, se qualcuno non lo fermerà». La speranza del segretario è che a fermare Letta ci pensi Giorgio Napolitano. Non è infatti bastato il “tradimento” di Scelta civica, che con il capogruppo Andrea Romano ieri pomeriggio gli ha chiesto di dimettersi.



L’ULTIMO RILANCIO

Ma andiamo con ordine, cominciamo dal mattino. La giornata del premier comincia con un «rapido

incontro» con Napolitano. E comincia come Letta non aveva previsto. La chiave sta nell’aggettivo “rapido” scelto dal capo dello Stato per significare che il colloquio non è stato decisivo e che è necessario un approfondimento. Il premier a Napolitano dice che vuole provarci, che ha ancora possibilità di rilanciare il governo con un bis. «Un semplice rimpasto non basta più». Fa poi presente il rischio per le riforme, tanto care al capo dello Stato, rappresentato dall’ascesa di Renzi a palazzo Chigi: maggioranze diverse per l’esecutivo e per la revisione dell’architettura istituzionale, pericoli di corto circuito. Napolitano, ormai in una posizione neutrale, ascolta. Dice: se sei davvero convinto provaci, ma vedetevela voi. Tu e Renzi. Insomma, la difesa del Quirinale non è più granitica.



A palazzo Chigi preferiscono guardare il bicchiere mezzo pieno: «Enrico esce confortato dall’incontro con il Presidente», corrono a dire i suoi collaboratori, «ed è sempre più determinato ad andare avanti e ad accelerare la presentazione di “Impegno Italia”, base del rilancio programmatico del governo». Attenzione, nella denominazione del “patto di coalizione” non c’è più il 2014. E non è una svista: nel disperato tentativo di convincere Angelino Alfano, Mario Monti e a Pier Ferdinando Casini a non passare armi e bagagli con Renzi, il premier non fissa più date di scadenza. «Siamo proiettati fino al 2018. Un governo forte deve avere un respiro ampio. Senza un termine prefissato».



L’ABBRACCIO CON PRODI

Il tempo di volare e Milano, di sbarcare alla Bit (la Borsa del turismo) e Letta si lancia nello sprint annunciato: «Nelle prossime ore presenterò una mia proposta di patto di coalizione». E visto che c’è, dato che è cominciata la partita d’azzardo, il premier si spinge fino a dirsi convinto del “sì” di Renzi: «Vedrete che convincerò anche il Pd».



Poco dopo, a margine dell’inaugurazione dell’Unicredit Tower incontra Prodi. I due parlano qualche minuto. «L’ho solo abbracciato, non gli ho dato consigli», racconterà il Professore. Un giornalista si avvicina a Letta, gli chiede: «Sarà ancora premier quando nel 2015 verrà inaugurato l’Expo?». Letta sorride, allarga le braccia: «Per scaramanzia non si dà risposta su questo. Io lavoro, ma poi sulla mia sorte personale agirà la Provvidenza. L’anno prossimo... gli anni a venire... non lo so».
© RIPRODUZIONE RISERVATA