Legge elettorale, cos'è il voto disgiunto e perché in Italia è un campo di battaglia politico

Legge elettorale, cos'è il voto disgiunto e perché in Italia è un campo di battaglia politico
di Diodato Pirone
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Mercoledì 7 Giugno 2017, 20:55
Chi sta seguendo il  parto della nuova legge elettorale italiana si sarà imbattuto (spero involontariamente) in uno espressione incomprensibile per i più: il voto disgiunto. Di cosa si tratta? Della possibilità lasciata all’elettore di votare - sulla stessa scheda - per un partito e contemporaneamente per un candidato di un’altra lista.

In Italia questo meccanismo è consentito, ad esempio, per il voto comunale. In Germania il voto disgiunto è uno dei pilastri del voto delle politiche. Dunque la domanda che sorge spontanea è: perché se noi italiani copiamo il sistema elettorale tedesco non importiamo anche il voto disgiunto? Le ragioni sono molte. Ne abbiamo selezionate tre. La prima e la seconda sono tecniche e complesse mentre  la terza è semplice e politica. Se avete poco tempo saltate direttamente alla terza.

La prima ragione per cui non ha molto senso importare il “disgiunto” è quella fondamentale: non è vero che stiamo copiando il modello tedesco. Il sistema elettorale della Germania è tarato sulle esigenze di quella nazione che, ricordiamolo, è federale (dunque pone attenzione alla classe politica espressa dal territorio con i collegi) ma ha una sola Camera con i pieni poteri mentre noi ne abbiamo due. Questo significa che con il disgiunto l’elettore avrebbe a disposizione ben quattro voti (due alla Camera e due al Senato) il che a molti appare un po’ pittoresco e di difficile gestione. Non a caso  nessuno fra i politici e gli esperti che hanno disegnato l’attuale proposta del sistema elettorale parla di “sistema tedesco” ma di legge che si ispira al sistema in vigore in Germania. Insomma il Germanichellum non esiste.

Secondo elemento. In Germania il sistema funziona così: il voto di lista (proporzionale) determina il numero dei seggi di ciascun partito, da questo numero vengono sottratti i collegi vinti dai singoli partiti sul territorio anche con voto disgiunto. Per mantenere l’equilibrio proporzionale può accadere che venga aumentato il numero complessivo dei seggi. Questo in Italia è impossibile perché i parlamentari sono fissati dalla Costituzione: 315 senatori; 630 deputati.  Dunque in Italia semplicemente non si può importare sic et simpliciter il voto disgiunto fra candidati ai collegi e liste bloccate.

Il terzo dato è strettamente politico: il Pd ha accettato una legge di impianto proporzionale perché il “tedesco in salsa italiana” ha due correttivi maggioritari: lo sbarramento del 5% e i candidati nei collegi che – sempre secondo il Pd -  faranno da richiamo verso il voto per il partito perché legati al territorio o molto noti. Anche nella Lega, che in Lombardia e Veneto mantiene una forte presenza localistica, la pensano allo stesso modo. Insomma il voto disgiunto andrebbe a danneggiare la parte maggioritaria della legge sulla quale  Pd e Lega contano per una buona affermazione nel proporzionale.  Il disgiunto inoltre  darebbe una grossa mano alla formazione a sinistra del Pd perché consentirebbe a molti elettori dell’area di votare sia per il Pd che per una lista a sinistra del Pd. Col probabile risultato di favorire il M5S per la corsa al primo partito. Questo spiega perché il M5S da una parte dice che il nuovo sistema è troppo complesso ma contemporaneamente insiste sul disgiunto che lo renderebbe ancora più “difficile”.
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