Legge elettorale, salta l'accordo: Colle in allarme. E si allontana il voto in autunno

Renzi (Ansa)
di Alberto Gentili
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Venerdì 9 Giugno 2017, 10:21 - Ultimo aggiornamento: 13:15

Raccontano che Sergio Mattarella, per nulla confortato da una telefonata con Matteo Renzi, sia «molto preoccupato» per il naufragio della legge elettorale. Dicono che il capo dello Stato sia anche decisamente amareggiato per il fallimento dell'intesa tra il segretario del Pd, Beppe Grillo, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Un'intesa che aveva auspicato, sollecitato e benedetto, fino a prendere in considerazione le elezioni anticipate il 24 settembre.

Dal Quirinale in ogni caso filtra la paziente attesa del capo dello Stato. La tenue speranza che la prossima settimana - chiuso il primo turno delle elezioni amministrative - in qualche modo possa riprendere il dialogo tra i partiti e di conseguenza il cammino della riforma elettorale. Insomma, calma e gesso. Nessuna precipitazione. Nessuna crisi di nervi. Pur nella consapevolezza che la situazione è appesa a un filo e che la ripresa del confronto è molto, ma molto improbabile.

In queste ore si osservano con grande attenzione sul Colle i segnali dei leader. Ad esempio il fatto che Renzi non abbia twittato, mettendo nero su bianco ciò che hanno detto i suoi: «La legge elettorale è morta». Ma che, anzi, si sia preso una pausa di riflessione. E che Berlusconi, nonostante la débacle di ieri in Aula, predichi ancora la necessità di un accordo. Nessuno però crede (il segretario del Pd l'ha detto chiaramente) in una riforma partorita solo da Pd e Forza Italia. «Ci avevano piacevolmente sorpresi con l'accordo a quattro, non mettiamo limiti alla Provvidenza», sussurra una fonte accreditata. Ma senza troppa convinzione.

I PALETTI
Una cosa comunque è certa. Se i partiti non rispetteranno la richiesta del capo dello Stato di sanare il vulnus costituzionale rendendo omogenei i meccanismi elettorali di Camera e Senato, l'ipotesi delle elezioni in autunno è destinata a tramontare. Si andrà a scadenza naturale della legislatura, come già scommettono i mercati finanziari che hanno festeggiato il naufragio del tedesco con uno spread ai minimi e la Borsa in crescita. L'epilogo, in questo caso, sarebbe un decreto tecnico varato tra dicembre e gennaio (non prima) per rendere omogenei i sistemi elettorali. In primis introducendo la parità di genere anche a palazzo Madama. In serata il Colle fa sapere che ancora non ha aperto il dossier, appunto.

L'approdo al 2018, termine da sempre preferito da Mattarella per scongiurare la rischiosa sovrapposizione tra le elezioni e la delicata sessione di bilancio che inizia il 15 ottobre e termina il 31 dicembre, è condizionato dalla tenuta del governo di Paolo Gentiloni.

Così al Quirinale misurano con preoccupazione il tasso di disgregazione politica, reso ancora più alto dal fallimento dell'intesa a quattro sulla legge elettorale. E con un filo di speranza registrano l'impegno di Angelino Alfano e di Pier Luigi Bersani a garantire lunga vita al governo, sotterrando l'ascia di guerra impugnata dopo l'intesa Pd-FI-M5S-Lega sullo sbarramento al 5%. La prova del nove si avrà la settimana prossima, quando il Senato voterà la manovrina di bilancio. Se Bersani & C. non invertiranno la marcia, rinunciando alla battaglia sui voucher, la crisi sarebbe cosa fatta. Mattarella dovrebbe fronteggiare lo scenario peggiore: il precipitare verso le elezioni senza una legge elettorale omogenea. Ma di questo sul Colle non vogliono neppure parlare.

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