Legge elettorale, rinvio ad aprile aspettando l'intesa politica

Legge elettorale, rinvio ad aprile aspettando l'intesa politica
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Giovedì 2 Marzo 2017, 11:42 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 09:17
L'approdo in Aula della legge elettorale slitta di un altro mese: da febbraio si passa a fine marzo. Con la possibilità di poter poi contingentare i tempi del dibattito ad aprile. Il rinvio, deciso nel pomeriggio dalla Conferenza dei capigruppo della Camera, non desta troppe sorprese e dimostra ancora una volta, plasticamente, come un'intesa tra le forze politiche su uno dei temi cardine della legislatura, come quello della legge elettorale, tardi a venire.

È vero che tecnicamente per dare davvero il via ai lavori in commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, si aspettava la presentazione anche del disegno di legge di Forza Italia che insieme ad Ap e a buona parte dei Dem punta sull'idea di coalizione anziché di partito, ma in molti nell'opposizione, a cominciare dai 5 stelle, sono pronti a scommettere che si tratti solo dell'ennesima «melina» e che alla fine non si farà «proprio nulla».

Il sospetto è che si andrà al voto con l'Italicum così come è stato corretto dalla Consulta, magari accompagnato «da un decreto che introduca questioni come quella della parità di genere». Cioè, con un sistema proporzionale puro che, dopo «la bocciatura del maggioritario da parte della Corte», rispecchierebbe al meglio la frammentazione del quadro politico che si è determinata, anche con la recente scissione del Pd. In attesa che si scoprano davvero le carte è polemica su tutto. Tanto «per far credere», come ironizza un Dem al Senato, «che comunque l'attenzione resti alta». M5S e FdI rivendicano di essere stati loro a impuntarsi affinché si calendarizzasse il provvedimento, mentre il Pd smentisce e, con Ettore Rosato, assicura che in Conferenza di Capigruppo la decisione sia stata presa in maniera corale. Precisando che «formalmente l'unico che aveva chiesto di incardinare la riforma» era stato il presidente del gruppo Misto, Pino Pisicchio. Poi, è scontro sulle audizioni.

Sempre i 5 Stelle contestano, anche via twitter, come fa Danilo Toninelli, che ne siano state disposte circa 40. Mentre i Dem precisano che loro ne hanno chieste «solo 3» e che comunque «tutti saranno ascoltati solo in due giornate: giovedì dalle 16 in poi e venerdì». Quindi «tanto caos per nulla». E se a Montecitorio, nonostante i sospetti di «melina», infuria il dibattito, al Senato invece cala il silenzio e si resta in attesa. Di cosa? Che nella commissione Affari Costituzionali rimasta orfana di Anna Finocchiaro, ora al governo, si trovi finalmente un equilibrio politico che consenta di eleggere un nuovo presidente. E la diaspora del «Movimento Democratici e Progressisti», il nuovo gruppo nato a sinistra del Pd, non sembra semplificare le cose. Essendo 14, infatti, potrebbero rivendicare la presenza in commissione di due componenti e non di uno solo. E nella maggioranza, prima di avanzare anche un solo candidato, si preferisce aspettare.

Quanto non si sa. Tra i pochi a dire apertamente che sul fronte legge elettorale «non cambierà nulla» è il segretario della Lega, Matteo Salvini che annuncia già un simbolo uguale in tutta Italia («Non abbiamo grandi grafici né soldi da spendere su studi, lo faremo noi a matita quando sarà il tempo giusto»). Ostenta ottimismo invece Renato Brunetta che parla di «tempi brevi» per il dibattito della riforma elettorale e ipotizza che possa essere «approvata anche al Senato entro l'estate»
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