Giovani neoassunti, niente contributi per i primi due anni

Giovani neoassunti, niente contributi per i primi due anni
di Andrea Bassi
3 Minuti di Lettura
Lunedì 3 Luglio 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 17:13
ROMA C’è un dossier diffuso dall’Istat qualche giorno fa che è passato sotto silenzio, ma che all’interno del governo è stato letto con molta attenzione e con qualche soddisfazione. Si tratta della «Redistribuzione del reddito in Italia», una simulazione fatta dall’Istituto di statistica per capire qual è il livello di disuguaglianza nella distribuzione del reddito all’interno del Paese. L’indicatore utilizzato in tutto il mondo per misurare “l’equità” è l’indice di Gini. Se è pari a zero c’è un’uguaglianza perfetta, se è pari a 100 c’è il massimo della disuguaglianza. Le politiche di un governo funzionano bene se riescono a ridurre l’indice di Gini. Nella sua simulazione, per la prima volta, l’Istat ha considerato tra le misure di redistribuzione del reddito, anche il bonus da 80 euro, l’aumento della quattordicesima per i pensionati e il Sia, il sostegno all’inclusione attiva. 

IL RISULTATO 
Il risultato è che l’intervento pubblico ha ridotto l’indice di diseguaglianza di 15,1 punti, da 45,2 a 30,1, e anche le tre misure simbolo della legislatura hanno avuto un impatto positivo sia sull’equità sia riducendo il rischio di povertà. Ma c’è un neo. La possibilità di diventare poveri diminuisce per tutti tranne che per i giovani, per i quali invece è aumentata. Il motivo? Tutto il sistema fino ad oggi ha dato priorità a chi un lavoro già ce l’ha (gli 80 euro) o a chi è già andato in pensione (la quattordicesima). Per questo il governo ha deciso che nella prossima legge di stabilità, tutte le risorse disponibili saranno destinate a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani. Qualche giorno fa, parlando al congresso della Cisl, il premier Paolo Gentiloni, ha confermato l’impegno per una riduzione del cuneo fiscale. Le misure saranno pronte per la prossima legge di Stabilità, che dovrà essere presentata entro la metà di ottobre. Ma al Tesoro il cantiere è già partito. L’ipotesi alla quale si sta lavorando, è una defiscalizzazione totale per i giovani neo assunti, fino ai 35 anni di età, che sarebbe valida per i primi due anni del contratto. Fin qui niente di nuovo, si tratta in pratica di una misura simile a quella che ha affiancato l’introduzione nell’ordinamento italiano del jobs act. La vera novità è che, accanto a questa misura «una tantum» ne verrebbe introdotta una strutturale: un taglio di 4 punti del cuneo fiscale che pesa sul costo del lavoro che i giovani neo assunti si porterebbero dietro per tutta la vita lavorativa. Due punti andrebbero a ridurre il costo del lavoratore per l’impresa, mentre altri due punti andrebbero direttamente ad aumentare la busta paga del lavoratore. «Questa ipotesi», spiega il vice ministro all’Economia, Enrico Morando, che sta lavorando al dossier, «prevede una completa fiscalizzazione dei contributi non versati». 

I TEMPI
Significa, in sintesi, che il taglio non andrà in nessun modo ad incidere sulla futura pensione. Ma quanto costerebbe questo intervento alle casse pubbliche? «Ipotesi di questo tipo», spiega ancora Morando, «non sono particolarmente onerose nei primi anni, lo diventano successivamente, perché dopo 10 o 15 anni la quasi totalità dei lavoratori si troverebbe a beneficiare dello sgravio». L’intervento potrebbe esser anche graduato nel tempo. Molto dipenderà dalle condizioni della finanza pubblica. Si potrebbe, per esempio, partire da una decontribuzione del 50% per i primi due anni e un taglio strutturale di due punti percentuali. In realtà sulla strada di questo intervento c’è un’altra incognita. Con l’avvicinarsi delle elezioni è destinato a riaccendersi il dibattito sul taglio delle tasse. Matteo Renzi nel suo “cronoprogramma” aveva promesso per il 2018 un taglio dell’Irpef. Da destra, Silvio Berlusconi, ha iniziato a pigiare l’acceleratore sulla «flat tax», l’aliquota fiscale unica che piace anche alla Lega di Matteo Salvini. «È pur vero», dice ancora Morando, «che agire sui contributi ha comunque l’effetto di aumentare i redditi». Ma è anche vero che, politicamente, ciò che varrà è quanto è amplia la platea dei beneficiati.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA