Lavoro e diritti/ Il fallimento di una battaglia di retroguardia

di Oscar Giannino
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Giovedì 12 Gennaio 2017, 00:05
Un’ottima decisione. La Corte costituzionale ieri ha respinto l’ammissibilità del quesito referendario avanzato dalla Cgil sull’articolo 18 in materia di tutela dei licenziamenti, mentre ha accolto gli altri due, sull’abolizione dei voucher e sulla piena corresponsabilità in solido tra appaltatore e appaltante nei contratti di lavoro. Sono almeno tre le ragioni per cui considerare ottima la decisione.

Primo: la natura dei referendum abrogativi. La Cgil, raccogliendo oltre un milione di firme per ciascuno dei tre quesiti, sapeva benissimo che sul pieno ritorno al vincolo della reintegra giudiziale in materia di licenziamenti il suo quesito non era “abrogativo”, ma “creativo”. Non proponeva infatti il mero ritorno alla situazione normativa precedente all’avvio dei contratti a tutele crescenti, quando la reintegra valeva nelle aziende sopra i 15 dipendenti. Con un ingegnoso taglia e cuci, ripristinava i vincoli ma a partire dalla soglia di soli 5 dipendenti. Il sindacato guidato da Susanna Camusso non voleva vincere, ma stravincere. A consigliarle la formula sono stati giuristi che facevano affidamento su un precedente giurisprudenziale della stessa Consulta.

Più volte negli anni, su diverse materie, la Corte aveva ribadito che il referendum abrogativo deve evitare effetti manipolativi, deve cioè ottenere effetti autoapplicanti senza vuoti normativi e con l’effetto di una norma chiara e omogenea. Ripetiamo: chiama e omogenea, il che non significa affatto il mero recupero integrale della norma pre esistente all’intervento normativo di cui si chiede l’abrogazione. Su questo margine di ambiguità si è mossa l’iniziativa della Cgil.

Proprio in materia di lavoro, infatti, la Corte aveva in una circostanza compiuto una scelta apparentemente diversa. Anzi, proprio in materia di licenziamenti, con la sentenza 41 del 2003 la Corte dichiarò ammissibile un quesito che prevedeva l’abrogazione in toto della soglia minima di dipendenti. Allora, il quesito fu ritenuto omogeneo e chiaro negli effetti. Questa volta, la Corte è tornata invece all’indirizzo di gran lunga prevalente già espresso in passato. Si può azzardare che un conto sia abolire del tutto la soglia, altro, come in questo caso s’intendeva fare, applicare a tutte le imprese una vecchissima soglia un tempo però concepita solo per le imprese agricole, il che costituirebbe violazione dell’omogeneità della norma risultante. Capiremo meglio il perché una volta depositate le motivazioni della sentenza. Ma intanto è molto meglio così. Non solo per la natura esplosiva del quesito bocciato. Ma perché è molto meglio mettere un limite chiaro alla fantasia politica di chi pensasse a referendum abrogativi con chiari intenti manipolativi.

Secondo: il nodo dei voucher. È sempre stato ovvio che il vero “traino” dell’iniziativa referendaria Cgil era mirare al cuore del Jobs Act, abolendo la scelta di fondo che lega le tre grandi novità positive del modificato articolo 18: tutele crescenti nel tempo per il lavoratore; un costo di risoluzione crescente per le imprese ma noto ex ante per legge, e non dipendente come prima dalle discrezionali valutazioni di un giudice; e, finalmente dopo decenni, l’idea che solo con una natura dinamica nel tempo delle tutele si interpreta meglio la rapidità dei processi di trasformazione e innovazione che le imprese devono adottare per adeguarsi meglio all’evoluzione dei mercati. La Cgil ha sempre pensato che la tutela del lavoro debba essere una variabile indipendente dalla trasformazione delle imprese. Al contrario, è solo rendendo sincroni diritti e innovazione che si crea più lavoro, si alzano i margini delle imprese, si creano così più risorse per i salari, a cominciare da quelli di produttività.

Ora che questo temibile attacco è sventato, il significato politico dei 2 quesiti residui è minimizzato. Sfidiamo chiunque a credere che la corresponsabilità i solido di appaltatori e appaltanti venga considerata dagli italiani una questione epocale. E quanto ai voucher, già prima della pronunzia della Corte la Cgil stessa ha cominciato a imbarcare tonnellate d’acqua. Beccata a utilizzare essa per prima i voucher che vuole abrogare, la campagna referendaria per la Camusso sarà un vero e proprio calvario autocontraddittorio. Il presidente dell’Inps Boeri ha ieri svelato che la Cgil risulta aver fatto ricorso ai voucher per 750 mila euro. Se prendiamo per buona la media Inps di un utilizzo dei voucher per singolo lavoratore non superiore ai 500 euro, significa che la Cgil ha pagato coi voucher 1500 propri collaboratori (ieri ne ha iniziato ad ammetterne 600). Non proprio quattro gatti.

L’abrogazione cade anche per un’altra ragione: nessuno pensa che, sulla base di dati ancor più precisi sull’utilizzo sin qui fatto dei voucher (attesi a fine gennaio) non sia opportuno reintervenire sulle norme di liberalizzazione varate dalla Fornero. Il voucher deve restare uno strumento semplificato per far emergere lavoro nero, e solo per lavori accessori. Vi sono settori, nelle imprese industriali, nella Pa e nelle costruzioni, in cui appare ragionevole porre nuovi limiti di utilizzo per evitare abusi che oggettivamente sembrano avvenire. Ma senza per questo rinunciare a uno strumento che si è dimostrato utile. A questo governo e maggioranza si erano detti già favorevoli: e oltretutto, se s’interviene in tal senso sulla norma, si annulla anche questo secondo quesito. Con il che, l’offensiva conservatrice della Cgil si sarà risolta in un buco nell’acqua.

C’è infine, ovviamente, un terzo motivo per cui quella della Consulta è un’ottima decisione: la ragione politica. Lo sanno tutti, che un referendum sull’articolo 18 nella prossima primavera avrebbe indotto maggioranza e governo ad accelerare in quarta verso elezioni anticipate subito, l’unico modo per far rimbalzare al 2018 il referendum. Ora questa minaccia è sventata. Il che significa che la valutazione di quale legge elettorale adottare per le prossime politiche, dopo la sentenza della Corte sull’Italicum il 24 gennaio, potrà essere fatta dalle forze politiche con grande serenità, guardando al meglio del modello e delle convergenze possibili, evitando un pastrocchio purchessia pur di votare entro poche settimane.

Molto meglio così. Già sono troppi i motivi di affanno, i rischi per il paese e i veleni politici. Un po’ di serenità in più per una volta non guasta.

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