Landini rispolvera l'antico massimalismo ma può scatenare la riforma del sindacato

Maurizio Landini
di Diodato Pirone
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Sabato 14 Marzo 2015, 15:51
E' già pronto il prossimo passo per il lancio pubblico della Coalizione Sociale, la nuova formazione che ruota intorno alla Fiom di Maurizio Landini. Oggi la prima riunione nella sede Fiom di Roma, in Corso Trieste, dove un tempo c'era la Flm unitaria.



Il 28 marzo la Coalizione Sociale terrà a Roma un corteo nazionale che si chiamerà "Unions". Il tema della manifestazione in questo caso è un programma. La Coalizione Sociale è infatti un insieme di sigle (Fiom, Libera, centri sociali, movimenti) che intendono formare un raggruppamento in grado di condizionare la politica o i partiti senza - almeno questo è il programma attuale - formare un mini-partito di estrema sinistra. Proprio come le Unions inglesi che condizionavano e finanziavano il Labour prima di intestardirsi nella difesa di miniere antieconomiche e dei minatori che vennero asfaltati dalla signora Thatcher.



L'altro modello cui Landini sembra ispirarsi è più positivo. Si tratta del primo Mitterand che con molta pazienza riuscì in vent'anni a rimettere insieme i cocci delle sinistre francesi fino ad arrivare alla vittoria delle presidenziali del 1981. Secondo i landinologi è sbagliato paragonare il progetto di Coalizione Sociale alla spagnola Podemos (che si presenta alle elezioni) e alla greca Syriza (coalizione di partiti e movimenti).



Non è la prima volta che la sinistra massimalista italiana si lascia affascinare dal movimentismo. Le radici culturali di questo fenomeno, quasi sconosciuto ad esempio al razionalismo della sinistra tedesca, sono antiche. Il massimo teorico della necessità di organizzare la società senza costruire partiti fu il filosofo francese George Sorel che alla fine dell'800 ebbe un grandissimo successo fra i socialisti italiani (non certo fra il gruppo di intellettuali che avrebbe dato vita poi al Pci) sostenendo che il sindacato e lo sciopero generale fossero il "luogo" vero della lotta di classe. Una tesi rilanciata, con modalità originali, nel Pci del dopo autunno caldo da un intellettuale del calibro di Pietro Ingrao cui Landini dice apertamente di ispirarsi e presente da sempre in quegli spezzoni sindacali rappresentati a lungo da uno storico dirigente Cgil come Fausto Bertinotti.



Il resto è storia dei nostri giorni. La mossa di Landini suscita un fortissimo malumore innanzitutto nella Cgil di Susanna Camusso. Anche la Cgil, come la Fiom, legge nel Jobs Act un attacco ai diritti dei lavoratori. Sia la Cgil che la Fiom parlano di un asse fra Renzi e Confindustria anche se la Confindustria nei mesi scorsi ha più volte sottolineato di preferire altre soluzioni per la riforma del lavoro e nonostante il fatto che Renzi più volte abbia ignorato le assemblee e le manifestazioni dell'associazione imprenditoriale. Sia la Cgil che la Fiom intendono lavorare ad un referendum per abolire o modificare il Jobs Act, aggirando partiti e parlamento.



Il lancio della Coalizione Sociale e di Unions, dunque, rischia di tagliare l'erba sotto i piedi all'opposizione della Cgil scatenando una guerra a sinistra senza esclusione di colpi a partire, come è già successo in Emilia, dalla proclamazione di scioperi a ripetizione per evitare che il sindacato concorrente ne proclami di suoi. Evidente anche l'irritazione nell'area di influenza della sinistra del Pd e in quelle delle piccole forze a sinistra del Pd.



Lo stesso Landini deve vedersela con la mutazione della funzione del suo sindacato: il recente segnale dello sciopero Fiom di Pomigliano cui hanno aderito 5 operai su 1.478 lavoratori chiamati allo straordinario, indica che il messaggio Fiom rischia di non essere condiviso nei fatti in molte fabbriche. Fabbriche che la crisi sta trasformando profondamente con la richiesta massiccia - contrariamente a quello che si vede in tivvù - di lavori qualificati e di coinvolgimento degli operai e dei tecnici. Il quadro non sarebbe completo senza uno sguardo alle reazioni degli altri sindacati. I metalmeccanici di Fim-cisl e Uil-uilm terranno presto un convegno per segnalare la loro dissociazione dalla deriva landiniana.



Ma il punto è un altro: se un sindacato decide di fare opposizione a tutto campo cosa deve fare quella parte del movimento sindacale che intende continuare a battere la strada "classica" della rappresentanza degli interessi dei lavoratori? «Si stanno formando due poli sindacali - spiega il professor Giuseppe Berta - uno antagonista e l'altro partecipativo. Si tratta di vedere cosa produrrà quest'ultimo».



La parola d'ordine sembra essere quella di una nuova legge sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. «Innanzitutto si tratta di rappresentare le persone in carne ed ossa, quelle che lavorano e vogliono lavorare meglio e quelli che un lavoro lo cercano - dice Marco Bentivogli, neosegretario della Fim - poi la partita si gioca su nuove forme di rappresentanza dei lavoratori. Ad esempio nelle grandi aziende dovremmo codificare una sorta di modello tedesco che vede il sindacato partecipare alle scelte stategiche delle imprese. Mentre nelle piccole e medie proponiamo forme di consultazione codificate». Si vedrà. La mossa di Landini, al di là del destino della Fiom, sembra destinata a scuotere un sindacato che neanche la Grande Crisi ha smosso dai suoi riti.
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