Il Labour e l'Italia/ Da Blair a Corbyn così muore la sinistra

di Giuliano da Empoli
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Sabato 29 Agosto 2015, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 09:13
Lo ammette lui stesso. Jeremy Corbyn si è presentato alle primarie del partito laburista inglese per fare testimonianza. Perché un candidato della sinistra radicale ci vuole e, tra i veterani del Socialist Campaign Group, stavolta toccava a lui. Nessuno si aspettava che questo illustre sconosciuto, reduce di quarant’anni di battaglie perse, avesse la minima possibilità di diventare il prossimo leader del partito che fu di Tony Blair.



Dietro il garbo proverbiale di questo gentiluomo attempato si nasconde un programma che farebbe impallidire Tsipras e Landini. Uscita della Gran Bretagna dalla Nato, aumento delle tasse, ri-nazionalizzazione dei trasporti e dell’energia elettrica: in tempi normali, i cavalli di battaglia di Corbyn lo avrebbero automaticamente messo fuori gioco. Ma così grande è la confusione sotto il cielo del Regno Unito (o meglio, della sua metà di sinistra) che Corbyn è oggi in pole position. Tutti i sondaggi dicono che sarà lui il prossimo leader del partito laburista. Facendo tornare indietro le lancette dell’orologio esattamente di trentacinque anni, quando Michael Foot fu eletto segretario del Labour con un programma identico. Anche all’epoca, il partito era reduce da una sconfitta elettorale cocente. E anche all’epoca si affermò questa tesi stranissima: che gli elettori avessero votato la destra perché i laburisti non erano stati abbastanza “di sinistra”.



Che l’unico modo di riconquistarli fosse quello di spostarsi su posizioni ancora più estreme, anziché provare a riavvicinarsi al centro. L’applicazione rigorosa di questa tesi risultò, tre anni più tardi, nella più pesante sconfitta della storia del Labour. Ci sono voluti quindici anni di opposizione, e tre diversi leader, per risollevare il partito dal buco nel quale si era cacciato e portarlo finalmente al governo. Oggi siamo da capo.



La tesi della “sinistra che deve fare la sinistra”, in Gran Bretagna e non solo, cammina essenzialmente su due gambe. La prima è la crisi economica. Alcuni pensano che il fallimento dei mercati - e dell’austerità - sia destinato a riportare in auge soluzioni stataliste. Poco importa se i margini di manovra, rispetto al passato, si sono paurosamente ristretti. Poco importa se non pare proprio che la crisi abbia condotto la maggioranza degli elettori europei verso il rigetto del capitalismo. Corbyn sente arrivato il suo momento. Anche perché l’altra gamba del suo successo è l’amnesia delle nuove generazioni.



Dietro la Corbynmania che ha investito il partito laburista ci sono centinaia di migliaia di ragazzi che si sono iscritti alle primarie, che animano la campagna elettorale sui social network e accolgono il loro idolo come una rockstar negli incontri pubblici. Poco importa se le sue parole d’ordine sono le stesse, fallimentari, di trenta o quarant’anni fa. A quel tempo loro non c’erano e oggi questo sessantaseienne che parla chiaro e non scende a compromessi gli piace assai di più dei politicanti grigi e complicati contro i quali combatte. Dal loro punto di vista Blair non è il primo ministro che ha creato 2,5 milioni di posti di lavoro, introdotto il salario minimo, investito massicciamente sulle scuole e sugli ospedali, introdotto le unioni civili per le coppie omosessuali. È solo un uomo di potere cinico e bugiardo, disposto ad ogni compromesso e attaccato al denaro. Insieme al New Labour (nel frattempo invecchiato) di Blair, i corbyniani rigettano tutta la sporcizia e l’opacità del governo per tornare ad abbracciare il mito primordiale della sinistra dura e pura.



È un canto delle sirene che si ripropone ad ogni generazione, quello della sinistra che non scende a compromessi, neppure con la realtà. Troppo alti i suoi ideali, troppo nobili i suoi principi, troppo perfette le rime baciate dei suoi ritornelli per intorbidirli con la fanghiglia del governo dell’esistente. All’indomani della guerra di Spagna, si dice che i partigiani antifascisti si consolassero ripetendosi: «Loro avranno pur vinto tutte le battaglie, ma noi avevamo le canzoni più belle». Corbyn - e i corbyniani sparsi in tutta Europa - la pensano allo stesso modo. Vincere non gli interessa; l’unica cosa che vogliono è cantare le canzoni più belle.