Elezioni, Novelli: «La tendenza si può invertire partendo proprio da Roma»

Elezioni, Novelli: «La tendenza si può invertire partendo proprio da Roma»
di Mario Ajello
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Domenica 5 Giugno 2016, 09:45 - Ultimo aggiornamento: 10:31
Edoardo Novelli, docente di comunicazione politica all'università di Roma Tre, è studioso dei fenomeni elettorali e ha appena pubblicato, con l'editore Carocci, La democrazia dei talk show.

Professor Novelli, a Roma la partecipazione elettorale questa volta rischia di essere la più bassa di sempre. Sarà sempre così e sempre peggio? «Mi auguro di no. La tendenza si potrebbe invertire proprio partendo da questo punto bassissimo cui siamo arrivati adesso, e soprattutto a Roma, e facendo tesoro della lezione di questi ultimi anni. Che, temo, produrrà un forte astensionismo. Per fermare questo trend e capovolgerlo, occorre il ritorno della buona politica. L'unica in grado di ristabilire un rapporto di fiducia tra partecipazione e rappresentanza».

E intanto? «Il calo dei votanti mi sembra destinato ad aggravarsi. Vedendo i dati di affluenza delle ultime elezioni amministrative, si nota già allora un calo rispetto alle tornate precedenti. Al primo turno, nel 2013 a Roma, ha votato il 52,8 per cento. E al secondo turno il 40. La prima volta che si votò nelle città con l'elezione diretta l'affluenza era stata del 78,7 per cento al primo turno e del 79 al secondo. Era l'inizio della Seconda Repubblica, e il nuovo sistema di elezione dei sindaci doveva semplificare e garantire una maggiore partecipazione».

 All'inizio la cosa funzionò e ora non più? «Così è andata. E alle scorse elezioni Roma ha avuto un saldo negativo del 25 per cento di votanti. Torino meno 10. Milano meno 11. Mentre l'affluenza a Napoli, dal 1993 al 2013, è scesa del 10 per cento. A questo giro, si dovrebbe andare ancora più giù».

 

Sarà uno choc tremendo per la Capitale? «La disaffezione, dopo tutto quello che è successo, era ampiamente prevedibile. Fa impressione come gli slogan dei candidati siano pieni di promesse che tutto cambierà. Hanno introiettato la rabbia diffusa nei cittadini e non fanno che promettere loro, per esempio cito un manifesto di Marchini: liberi da chi ti ha tradito. Sembra che ogni candidato gridi il suo basta, per interpretare e dare voce al basta collettivo che i cittadini sentono dentro di sé».

Perché si è arrivati a questo allarme così forte sul non voto? «Per due ragioni. Primo perché in questi anni, purtroppo, l'immagine di Roma e la vivibilità quotidiana di Roma si sono rovinate a un ritmo sconvolgente e scioccante per chi abita nella capitale. Secondo perché tutto questo viene imputato, e non senza ragione, ai partiti che hanno malamente governato».

Chi si avvantaggerà se alle urne davvero andranno in pochi? «Non lo so. Credo però che l'anti-semplificazione del quadro politico in controtendenza con i primi anni 90, le divisioni e le moltiplicazioni delle destre e delle sinistre, le prime sono almeno tre e le seconde tra Giachetti e Fassina due, fungano da deterrente alla partecipazione».

Non può essere anche un fatto positivo che, come accade negli altri Paesi, anche qui si cominci a votare in meno persone? «Quando si vota poco, di positivo c'è poco. Io mi auguro che a Roma si ricrei il rapporto di fiducia tra partecipazione e rappresentanza. Il primo sindaco che riesce a dimostrare di essere capace di fare questo viene incoronato nuovo imperatore di Roma».

Roma avrebbe bisogno di riconoscersi in una figura finalmente forte? «Avrebbe bisogno di riconoscersi in una figura credibile, amata per quello che fa e insomma capace».