Oscar Giannino

La ricostruzione/La cultura di governo appesa al ponte

di Oscar Giannino
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Martedì 18 Settembre 2018, 00:45 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 15:29
Quel che la vicenda Ilva ha rappresentato fino a due settimane fa, è diventata oggi la vicenda del ponte Morandi a Genova. Il banco di prova delle intenzioni del governo, la dimostrazione delle scelte reali dopo tante parole spesso contrastanti se non contrapposte. Nel caso Ilva, sul terreno della politica industriale. Sul ponte Morandi, su quello delle infrastrutture e delle grandi opere. La realtà impone i suoi tempi, che sono diversi da quelli delle pugne verbali e delle continue mediazioni tra le due parti concorrenti della maggioranza, Cinque Stelle e Lega. 

A Taranto, la scadenza era la fine dei fondi pubblici e la data per il passaggio di gestione degli impianti a chi aveva vinto la gara. A Genova, le esigenze temporali pressanti sono altrettanto cogenti: quelle della città, ad avere al più presto ripristinata una propria viabilità sull’asse ponente-levante; e quelle del porto, snodo primario essenziale dell’intercambio commerciale dell’intera Italia, oggi ferito profondamente dalla necessità di percorsi molto più lunghi e costosi per le sue merci. Non c’è bisogno di dire altro per comprendere che oggi, nell’incontro previsto a Palazzo Chigi tra governo, Genova e Liguria, l’auspicio è che prevalga la concretezza e la responsabilità. Almeno quattro ordini di problemi aspettano una soluzione chiara e inequivoca.

Il primo è l’identificazione precisa dei soggetti attuatori dei due processi cui occorre metter mano: cominciando dall’abbattimento dei resti del ponte. Autostrade per l’Italia dovrebbe essere la scelta conseguente agli obblighi della concessione vigente, sia in termini finanziari sia in termini esecutivi. Con l’accortezza di distinguere gli oneri finanziari relativi all’abbattimento da quelli che il concedente pubblico, lo Stato, dovesse separatamente e in altra sede riservarsi di avanzare in ordine a qualunque violazione accertata da parte del concessionario in ordine alla tragedia avvenuta. 

Il secondo è ovviamente la scelta dell’impresa o del consorzio di imprese incaricate della progettazione e messa in opera del nuovo ponte. Su questo terreno, occorre una meticolosa valutazione ex ante di tre aspetti diversi. Innanzitutto la più corretta espressione della formula invocata per derogare alle norme vigenti che prescriverebbero una gara di rilevanza europea. Poi, per ovvie ragioni di speditezza, appare ragionevole mirare a evitare ogni possibile commistione tra la scelta del soggetto incaricato della ricostruzione e ogni eventuale indirizzo del governo sulla materia più generale delle concessioni vigenti, per evitare impugnative giudiziali che avrebbero un impatto diretto sulla realizzabilità entro 12 mesi dell’opera, un traguardo temporale che con tutte le accortezze del caso non appare affatto improponibile, in coerenza all’emergenza Genova che non può e non deve attender anni.

Il terzo criterio, altrettanto ovvio, è quello di una valutazione altrettanto scrupolosa delle reali capacità progettuali ed esecutive dei soggetti prescelti: non conta la preferenza privata o pubblica, ma chi sa fare e chi no.
Il terzo problema è quello della piena e leale cooperazione tra governo e Autonomie Locali, Comune di Genova e Regione Liguria. La diatriba sin qui irrisolta sulla scelta del o dei commissari straordinari è stata l’espressione concreta di una direzione da correggere: senza piena cooperazione sin dall’inizio i guai successivi diventano certi. A maggior ragione quando si tratta di fronteggiare gli effetti di calamità naturali o di eventi straordinari come la tragedia del ponte Morandi, la piena sinergia non è solo opportuna, ma necessaria. Dall’incontro di oggi, bisogna dunque voltare pagina.

Infine c’è anche un quarto problema. Che è di natura politica. Perché il decreto della settimana scorsa – deludente rispetto alle tante aspettative alimentate dagli annunci - ha prodotto uno strascico polemico evidente dei Cinque Stelle verso il presidente del Consiglio Conte, mentre la Lega con Salvini si è astenuta da rilievi critici. Secondo Costituzione, a Conte spetta la titolarità dell’indirizzo politico del governo. Ed è bene che la eserciti, sul Ponte Morandi come su tutte le materie più delicate che identificano il profilo politico più alto del governo: dalla politica di bilancio, che presto vedrà i suoi nodi venire al pettine con la Nota di aggiornamento al Def e la legge di bilancio per il 2019 con una scelta sul deficit programmatico che sarà tra le più politiche sinora assunte dall’esecutivo, alla politica europea ed estera.
Come si vede, è molto delicato l’intreccio dei fattori diversi che si annodano intorno alle scelte oggi al centro dell’incontro di Palazzo Chigi. Vi sono da sciogliere nodi giuridici, tecnici, istituzionali e politici. La vicenda Ilva si è conclusa con la vittoria del realismo sull’azzardo. Ci auguriamo che altrettanto accada oggi: pensando alle esigenze di Genova e dell’Italia, evitando ogni fuga in avanti verso toni giacobini e misure giustizialiste che confondano l’emergenza del ponte Morandi con ciò che toccherà solo alle indagini amministrative e penali in corso stabilire, sulle precise responsabilità del concessionario privato e del concedente pubblico in ordine a ciò che ha portato al crollo dell’opera e al terribile bilancio di 43 vittime. 


 
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