La credibilità del Paese/Sblocchiamo le grandi opere per salvare il nostro futuro

di Romano Prodi
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Domenica 29 Luglio 2018, 00:09
Da anni si sente ripetere che il ritardo nell’esecuzione delle infrastrutture è uno dei maggiori freni alla crescita del nostro Paese. Da anni però i ritardi aumentano e gli investimenti in infrastrutture diminuiscono. A livello statale siamo ormai a meno di 20 miliardi di euro all’anno e, a livello locale, gli investimenti sono la metà del pur scarso peso che avevano raggiunto prima della crisi. 

È inutile fare la lista delle opere pubbliche in fase di realizzazione ora bloccate. Inutile fare elenchi dettagliati perché vi sono opere pubbliche ferme ovunque. Basta mettere in rilievo un solo dato: la durata media della realizzazione di un’opera pubblica di maggiori dimensioni è arrivata a 15,7 anni, con un’inesorabile tendenza alla crescita lungo gli ultimi tre decenni. 

Le cause sono ben note. Si parte dai ritardi dovuti alle incertezze sulle decisioni politiche, si passa attraverso la paralisi delle procedure amministrative per arrivare infine ai comportamenti delle imprese che devono eseguire i lavori. 
Partendo dal nobile e condiviso obiettivo di evitare speculazioni e illegalità si è moltiplicato il numero delle strutture amministrative decidenti e delle autorità sorveglianti. La moltiplicazione degli adempimenti, le difficoltà di coordinamento fra tutti i partecipanti al processo decisionale e la stessa incertezza delle leggi e delle loro modalità di applicazione ha progressivamente aumentato i rischi per coloro che debbono prendere decisioni.

Essi cercano perciò di proteggersi allargando il numero dei partecipanti al processo decisionale o rinviando le decisioni stesse. Infine gli appalti vengono assegnati con sconti che non tengono conto dei costi ma solo dell’obiettivo di vincere l’appalto, per poi aprire una serie infinita di controversie per la revisione dei prezzi. La crisi economica ha accentuato queste tendenze e gli ultimi interventi legislativi hanno ulteriormente complicato la situazione. 

<TB>Tutti gli esperti ribadiscono che la mancanza di infrastrutture sta pregiudicando il futuro della nostra economia e che il paese può raggiungere la media dello sviluppo europeo solo mettendo in atto un grande piano di investimenti pubblici. 
A sua volta il ministro Tria ha giustamente dichiarato che le risorse ci sono e che oltre cento miliardi di euro sono immediatamente spendibili.

La direzione da prendere è quindi molto semplice: spendiamoli. E cerchiamo quindi di porre rimedio alle cause dei nostri endemici ritardi. Sembra invece che si voglia camminare nella direzione opposta.
Alle complicazioni precedenti si è infatti aggiunto un elemento ideologico che si esprime in ogni parte del paese contro gli investimenti in infrastrutture e che trova il simbolo più evidente nell’opposizione frontale al proseguimento della Torino-Lione (il progetto Tav) e ad ostacoli sempre rinnovati all’arrivo in Puglia del tubo della Tap che deve portare in Italia il gas del lontano Azerbaijan. 

<TB>Sono due casi emblematici. Entrambi frutto di accordi internazionali sottoscritti dall’Italia dopo infiniti dibattiti e doverosi approfondimenti, in modo da venire incontro agli interessi di lungo periodo del nostro paese. L’esecuzione della Torino-Lione deciderà se il nuovo grande asse ferroviario tra la Spagna e l’Est-Europa passerà a Nord o a Sud delle Alpi. Deciderà cioè se saremo periferici o centrali in una parte determinante della futura logistica europea.
<TB>La realizzazione della Tap è il primo passo della solenne e condivisa decisione di fare del Mezzogiorno il grande punto di arrivo del gas dal Mediterraneo, non solo per bilanciare lo squilibrio già esistente rispetto al Nord Europa ma anche per una necessaria diversificazione delle nostre fonti di approvvigionamento, soprattutto dopo il raddoppio del gasdotto sottomarino che unisce direttamente la Russia con la Germania. 

Il dibattito di questi giorni si è comprensibilmente concentrato sulle perdite finanziarie immediate che l’Italia dovrebbe subire venendo meno agli accordi contrattuali presi per Tav e Tap. Si tratta di somme ingenti qualsiasi siano i criteri di calcolo adottati e non intendo aggiungere mie analisi o previsioni. Voglio solo invitare a due elementi di riflessione. Il primo riguarda la perdita di credibilità riguardo al resto del mondo. Ad alcuni questo può sembrare un costo minore ma le conseguenze negative che derivano da comportamenti irresponsabili riguardo agli impegni assunti sono enormi e durature nel tempo. Non si tratta di essere supini di fronte a decisioni altrui ma di essere conseguenti rispetto alle nostre decisioni solennemente assunte. 

La seconda riflessione riguarda il ruolo delle infrastrutture nel nostro futuro. Non parlo solo di strade o di ferrovie ma anche delle reti che debbono soddisfare i nostri bisogni di energia e di comunicazione e legare la nostra economia con quella degli altri paesi. Le recenti prese di posizione in materia finiscono col ritenerle un elemento secondario per l’Italia. Si sogna un progresso senza le reti necessarie per promuoverlo. Si tratta di un sogno impossibile per noi e per i nostri figli. Cerchiamo invece di indirizzare le nostre energie perché queste reti vengano realizzate nel rispetto dell’ambiente, nel contenimento dei costi e con le migliori tecnologie. E anche nei tempi dovuti.

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