L’agenda possibile/I due leader vincitori e i margini stretti dell’esecutivo che verrà

di Marco Gervasoni
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Domenica 25 Marzo 2018, 00:05
Se il 4 marzo siamo stati investiti da un tornado, la giornata di ieri ci mostra che le istituzioni sono in grado di resistere. Lo scenario inedito uscito dalle elezioni, con un partito primo per numero di voti, i 5Stelle, e con una coalizione in testa per numero di seggi, il centro-destra, poteva paralizzare il funzionamento delle Camere. 

Saggi sono stati quindi i leader del centro-destra nel ricomporre l’alleanza, consentendo così alle Camere di essere lo specchio del risultato elettorale: alla presidenza di Montecitorio un esponente del primo partito del Paese e a quella di Palazzo Madama una figura della coalizione maggioritaria per numero di seggi.

Come tutte le battaglie politiche, sul terreno stanno vincitori e vinti: gli stessi del 4 marzo. Lasciamo entrare prima i vinti, e tra questi il più vinto di tutti, il Pd. Ritiratosi all’inizio sull’Aventino, nella speranza che i giovani e inesperti Di Maio e Salvini finissero terga a terra, ha poi improvvisamente tentato di accordarsi con i 5 stelle, favorendo così il coup de theatre del voto leghista a Anna Maria Bernini.

Un atteggiamento confuso, probabilmente frutto delle acerrime divisioni interne al Nazareno, ma che stupisce in chi possiede una lunga, se non lunghissima, esperienza di giochi parlamentari. Entrino poi i vincitori: Di Maio e Salvini. Il primo ha gestito il suo movimento, nella passata legislatura piuttosto maldestro nelle manovre parlamentari, o forse semplicemente disinteressato, con consumata abilità tattica. Neppure per un momento i 5 stelle sono stati tentati dal mettersi in un angolo, di lasciare che gli altri si accordassero, per poi denunciare lo «scippo» della volontà popolare. E’ una prova di maturità da parte di un movimento che reca nel suo codice originario la contestazione del Parlamento.

L’altro trionfatore di ieri è Salvini, vincitore di una duplice partita: nella competizione interna al centro-destra e nell’emergere come leader effettivo della coalizione. Non era cosa affatto scontata, la capacità di Salvini, esordiente come parlamentare nazionale, di sfruttare tutte le finezze della tattica e della contro-tattica, soprattutto contro una mente astuta come il Cavaliere. Se infatti Berlusconi aveva riconosciuto, il 5 marzo, la supremazia del leader leghista nel centro-destra, si trattava di una patente poco più che formale: la competizione per le Camere ha dimostrato invece, nella prassi, che Salvini ne è il leader effettivo. Capace non solo di controllare il proprio partito (un solo franco tiratore) ma di portare Forza Italia dove non avrebbe voluto andare (o non in quelle condizioni). E pronto a non stravincere, facendo guidare il Senato a un’esponente di Forza Italia, berlusconiana di lungo corso.

Tutti ruoli che, dal 1994 al 2013, era Berlusconi a esercitare nei confronti della Lega. Per questo l’altro sconfitto di ieri è proprio il Cavaliere, che però giocherà la parte del leader ferito e spodestato per ottenere da Salvini quel di più, che il leghista dovrà concedergli. Di fronte a uno scenario con due vincitori certi, Di Maio e Salvini, ci pare naturale siano loro a cercare di formare un esecutivo. In quali forme e modi è però tutt’altra questione - non è detto, ad esempio, che Salvini riesca nell’impresa di portare con sé tutto il centro-destra, visto il malumore in una parte di Forza Italia. Ma se questo governo dovesse nascere, sarà una sorta di grande coalizione tra i due vincitori delle elezioni, per cui entrambi i blocchi dovranno rinunciare a buona parte dei loro programmi. Così come a guidarlo difficilmente saranno Di Maio o Salvini, che però, da registi, spingeranno per una legge elettorale maggioritaria che renda tangibile quello che vediamo già in controluce. Cioè un bipolarismo non più tra destra e sinistra, ma tra due soggetti entrambi «critici» del sistema, i 5 stelle e un blocco (partito?) liberal-nazionalista a domino leghista. Siamo in mare aperto. Ma se non è scontato che la nave finisca in porto, neppure è detto che sia destinata a schiantarsi sulle rocce.
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