Italicum addio, scontro sul voto

Italicum addio, scontro sul voto
di Diodato Pirone
4 Minuti di Lettura
Giovedì 26 Gennaio 2017, 07:59 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 08:56

Eccolo dunque l'Italicum riscritto dalla Corte Costituzionale: salta il ballottaggio, resta il premio di maggioranza al partito che supera il 40% dei voti, non sono toccati capilista e plucandidature, ma viene fissato un limite importante: in caso di vittoria multipla, non si può scegliere il collegio in cui risultare eletto, ma interviene il criterio del sorteggio. Al termine di una camera di consiglio-fiume, che si conclude a pomeriggio inoltrato ben oltre quell'«ora di pranzo» indicata alla vigilia dal presidente Grossi, la Consulta lascia in campo una legge immediatamente applicabile.

IL COMUNICATO
Un concetto, questo, che la Corte ha voluto esplicitare mettendolo nero su bianco nel comunicato ufficiale per non lasciare dubbi residui su un aspetto scontato per i giuristi, ma non per la politica. Diverse le reazioni dei legali che hanno impugnato la legge. «Siamo soddisfatti, il governo è stato sconfitto», dicono Felice Besotri, Michele Ricciardi e Michele Pennino: «Non si può andare a votare subito a meno che non si vada a votare con due leggi non omogenee su questioni essenziali, come soglie d'accesso e coalizioni». «Abbiamo ottenuto il minimo indispensabile in luogo del massimo che sarebbe stato possibile», dichiara invece Vincenzo Palumbo, secondo il quale però «si è aperta la strada a un precedente importantissimo per insorgere contro una futura legge elettorale che mettesse in discussione il diritto costituzionale al voto».

ASSETTO FUNZIONANTE
Il dato di fondo è che i due sistemi, quello per le elezioni della Camera e quello delle elezioni del Senato, restano dissimili, ma lasciano un assetto funzionante, ha detto la Corte. La differenza maggiore è data dal premio, che l'Italicum, destinato a eleggere i deputati, mantiene, e il Consultellum, il sistema uscito dalla sentenza della Consulta sul Porcellum nel 2014 e valido per i senatori, non ce l'ha.

Ora la palla passa alla politica: la Corte ha fatto la sua parte. E lo ha fatto rigettando molte questioni sollevate sia dai ricorrenti sia dall'Avvocatura dello Stato, compresa una questione di fondo prospettata dalla difesa di Palazzo Chigi, che chiedeva il rigetto perché l'Italicum non è stato mai adoperato. No, la Corte è entrata nel merito.
Martedì sera, alle 17, dopo l'udienza pubblica, i 13 giudici presenti hanno appena cominciato ad affrontare la questione. L'esame è ripreso ieri mattina alle 9.30 ed è durato circa sette ore, con una breve pausa poco dopo mezzogiorno per mangiare un panino senza spostarsi dalla sala della camera di consiglio.

TOGHE DIVISE
Si è proceduto per punti, spacchettando i temi: su nessuno c'era l'unanimità, ma la maggioranza era certa su tutti. Per questo si è scelto di non cristallizzare in un voto le decisioni, ma di certificare solo il risultato finale. L'idea, l'altra sera, di comunicare un orario, le 13-13,30, per la decisione, che poi è slittata al pomeriggio, ha innescato qualche cortocircuito e ha fatto pensare a divisioni nette. Non è stato così, il clima è stato sereno. L'idea di affrontare il tema dell'allineamento tra i due sistemi non è stata percorsa, se non per un punto: il ballottaggio. Qui c'erano opinioni diverse sulla possibilità di sorreggerne o meno l'abolizione ricorrendo all'argomentazione che il doppio turno non è presente per il Senato. Alla fine, da quanto emerge, si sarebbe scelto di non farlo: il ballottaggio va via principalmente perché non è prevista una soglia minima di voti per accedervi e questo può alterare la reale rappresentanza. Il resto, se vuole, lo farà la politica.

I PARTITI
E la politica non perde tempo a dividersi sula sentenza che riapre la possibilità di andare al voto anticipato. A chiederlo è Matteo Renzi, che sottolinea l'immediata applicabilità del sistema che esce dalla sentenza, e con lui Matteo Salvini e Georgia Meloni. Mentre un passaggio parlamentare che renda omogeneo il nuovo Italicum al sistema del Senato lo chiedono in tanti, dal presidente del Senato Pietro Grasso, fino a Fi, ai partiti minori della maggioranza, passando per la minoranza Pd. A sorpresa anche M5S, pur dichiarandosi con Grillo per le urne subito, contemporaneamente con Di Maio si pone il problema di un passaggio parlamentare per estendere la legge della Camera anche al Senato. Con inevitabile (ma forse auspicato, viste le vicende giudiziarie capitoline...) allungamento dei tempi.