Italicum, Bersani e Letta all'attacco. Renzi: non mollo. Rebus voto segreto

Italicum, Bersani e Letta all'attacco. Renzi: non mollo. Rebus voto segreto
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Sabato 25 Aprile 2015, 20:21 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 21:10

Lunedì, ore 10: lo scontro finale sull'Italicum va "ufficialmente" in scena. Uno scontro che vede ai ferri corti la maggioranza di governo e tutto l'arco delle opposizioni e che continua a creare tensione anche nel Pd, dove l'eventualità di una fiducia sul testo - è l'avvertimento della minoranza Dem - rischia di acuire il logoramento interno al partito. E oggi, a dirlo, è Roberto Speranza, che dopo un lungo silenzio conferma il suo addio all'incarico di capogruppo e affonda: «la fiducia sarebbe una violenza vera e propria al Parlamento italiano». Un Parlamento che si prepara a giorni di fuoco. Domani inizierà la discussione generale sul testo (il voto finale non si terrà comunque questa settimana) e martedì ci sarà il primo snodo, quello delle pregiudiziali di costituzionalità e di merito (che saranno accorpate) già annunciate da FI. Il voto, salvo colpi di scena, dovrebbe tenersi martedì a scrutinio segreto mentre resta ancora in 'stand by' la decisione del premier Matteo Renzi di mettere la fiducia (superando così il voto segreto). Più probabile, invece, che la fiducia venga messa sugli articoli del ddl. Ed è su questo punto che la minoranza Pd alza le barricate. «Io fino all'ultimo istante proverò a fare il possibile» perchè la fiducia non venga messa, perchè «creerebbe condizioni di vero logoramento al nostro interno», rimarca in tv l'ex capogruppo che, sulla scia di quanto affermato nei giorni scorsi da Pier Luigi Bersani, definisce «sbagliato», da parte di Renzi, legare il destino del governo a quello dell'Italicum. Pronta la replica del renziano Ernesto Carbone: «Fermarsi ora perchè la minoranza non vuole è irrispettoso nei confronti del partito». Ma il tema nel Pd di Renzi, osserva Speranza, va oltre la legge elettorale. «Sono dell'idea che non debba esserci un partito della Nazione in cui c'è dentro di tutto» e che, si allontana dal mondo del lavoro «imbarcando» pezzi di ceto politico del centrodestra, spiega, mettendo sul piatto un altro punto di attrito tra renziani e minoranza. Minoranza che, sulla scelta del voto, resta divisa tra le posizioni di chi, come Rosy Bindi (porre la fiducia significherebbe «tradire la nostra vita democratica») o Alfredo D'Attorre che uscirà dall'Aula al momento della fiducia votando 'nò al testo, chi, come Ginefra o Damiano, la fiducia la voterà e chi, proprio come Speranza, al momento sceglie di non esporsi. E mentre Ap prosegue nel tentativo di mediare proponendo ai gruppi di non chiedere il voto segreto e agli alleati di governo di non mettere la fiducia è invece netta la battaglia delle opposizioni. «Renzi fa delle pressioni inaccettabili, se cade il governo non finisce la legislatura», tuona il capogruppo FI Renato Brunetta mentre ambienti azzurri si dicono non preoccupati del dissenso filo-renziano dei verdiniani. E mentre Sel definisce l'ipotesi fiducia «un'aberrazione» il M5S, con Alessandro Di Battista, si prepara ad «azioni extraparlamentari perchè il Parlamento è totalmente esautorato». L'aria, insomma, è quello dello scontro totale. Un muro contro muro che solo lo scenario di un voto senza fiducia potrebbe attenuare. «Il governo »onestamente sta facendo di tutto e di più per evitare di arrivare alla fiducia«, è lo spiraglio del vicesegretario del Pd Debora Serracchiani. Alle prossime ore il difficile verdetto.

Sullo sfondo di questi giochi di Palazzo da registrare l'invito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante la cerimonia per il 25 aprile: «Mi auguro che, nella libertà del confronto politico, si possano trovare convergenze finalizzate al bene comune», anche perché «non è vero che siamo imprigionati in un presente irriformabile».

LA SCHEDA

Inizierà lunedì mattina nell'Aula della Camera l'esame della legge elettorale.

Il testo è quello approvato dal Senato il 12 marzo 2015: quattro articoli su cui, con gli interventi dei relatori e del governo, si aprirà la discussione generale, la cui conclusione è prevista in giornata. Tuttavia, l'esame dell'Italicum, che divide il Pd ed è osteggiato da Forza Italia (che pure lo scorso anno al Senato lo aveva votato), entrerà nel vivo solo martedì mattina, quando saranno sottoposte al voto dell'Assemblea di Montecitorio le pregiudiziali di costituzionalità e di merito.

LA TEMPISTICA. Sulla legge elettorale in questa settimana si dovrebbero tenere solo due votazioni: martedì, sulle pregiudiziali di costituzionalità e di merito. Forza Italia chiederà lo scrutinio segreto, ed il governo potrebbe decidere di blindare le votazioni con la questione di fiducia: a tal proposito, a Montecitorio ci sono un paio di precedenti, per cui la fiducia sarebbe ammissibile. Se le pregiudiziali verranno respinte (ove approvate il provvedimento sarebbe infatti «affossato»), tutto si fermerà fino alla prossima settimana, ai primi di maggio. Lo slittamento al calendario del mese successivo consente il contingentamento dei tempi: è a questo punto prevedibile che le votazioni si tengano da martedì 5 a giovedì 7 maggio, quando si potrebbe giungere al voto finale, che sicuramente sarà a scrutinio segreto, previsto dal regolamento di Montecitorio anche per gli emendamenti e gli articoli relativi al meccanismo di trasformazione dei voti in seggi.

I NUMERI. Sulla carta, Matteo Renzi può contare su una maggioranza di circa 410 deputati: i 310 del Pd oltre ai 33 di Ap, ai 13 di Pi, ai 25 di Sc e a una trentina del Misto (tra cui gli ex M5S). Numeri ben superiori al quorum di 316 voti, ma che potrebbero scendere: la minoranza interna del Pd dispone infatti sulla carta di 90 voti anche se è prevedibile che almeno la metà voterà il testo.

LA FIDUCIA. Su leggi elettorali la questione di fiducia è stata posta nella storia Unitaria solo due volte: - nel 1923 per l'approvazione della legge Acerbo che, con il suo 'listonè, consacrò l'ascesa al potere del partito nazionale fascista; - nel 1953, quando il governo a guida Dc fece passare il sistema, definito 'legge truffà dall'opposizione del tempo, che assegnava il 65% dei seggi della Camera alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato il 50% dei voti.

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