Italia campione d'Europa, la festa azzurra è finita: otto sfide aspettano adesso Draghi

Italia campione d'Europa, la festa azzurra è finita: otto sfide aspettano adesso Draghi
di Nando Santonastaso
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Mercoledì 14 Luglio 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 11:01

La vittoria di Wembley, il trionfo della Nazionale di calcio agli Europei dopo più di mezzo secolo, l’incontrollata e incontrollabile euforia di un intero Paese. Le emozioni non si possono dimenticare, la sbornia che le ha accompagnate invece sì e in fretta. Perché pensare che l’Italia abbia come d’incanto risolto tutti i suoi problemi grazie ai rigori londinesi e che il Ct Mancini sia diventato il demiurgo di questa svolta è francamente troppo. Rimettere i piedi per terra e riprendere con serenità ma anche con consapevolezza il difficile cammino che attendeva il Paese anche prima di Euro 2020 è una saggia pratica di realismo. E farlo subito è altrettanto necessario: basta dare un’occhiata ai nodi sul tappeto per capire che i nuovi gol da segnare non saranno comodi o immediati.

Era e rimane il primo problema, lo spartiacque assoluto della ripartenza. C’è il fondato sospetto che i festeggiamenti di queste ore abbiano spalancato le porte alla variante Delta. Quattro regioni rischiano di ritornare in zona gialla mentre continuano a mancare all’appello del vaccino molte, troppe centinaia di migliaia di persone, tra “no vax” e opportunisti di ogni ora. Rallentare la già difficile ripresa avrebbe un effetto catastrofico per il Paese e per i settori già zavorrati dalla pandemia, turismo in testa, ma il pericolo non sembra scuotere coscienze e senso di responsabilità di tutti. 

I primi 25 miliardi sono garantiti, i cronoprogrammi di spesa sembrano promettere il rispetto di tempi e scadenze indicati dal governo.

Eppure si ha la sensazione che la partita vera e propria non sia ancora iniziata. E che dai primi segnali emerga già oggi quanto essa sarà complicata e forse incerta. Servirà un apparato pubblico all’altezza della sfida per arrivare al traguardo del 2026 con la certezza di avere speso tutti gli oltre 230 miliardi europei. L’apertura della governance anche a Regioni e Comuni è stato un messaggio di natura politica da parte del centro ma far funzionare subito questo meccanismo di condivisione appare al momento una grande scommessa. 

Non è stato incoraggiante l’esito della selezione, la prima con le nuove norme sulla trasparenza e il digitale decise dal governo. Dei 2.800 tecnici che dovevano essere assunti per concorso al Sud e dare una mano a Regioni ed enti locali in vista del Pnrr ne manca la metà (ieri il Tar ha respinto il ricorso proposto da alcuni partecipanti sulle modalità di svolgimento della selezione, dunque il concorso resta valido). Di conseguenza l’atteso rinforzo delle amministrazioni locali, prive da anni di competenze adeguate, resterà per molte un sogno, l’ennesimo. Andare incontro al Pnrr a mani nude non è proprio il massimo. 

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La riforma del processo penale, appena varata dal governo grazie alla mediazione del premier Draghi, è stato solo il primo passo di un iter che si annuncia ancora in salita. In Parlamento lo scontro interno al Movimento 5 Stelle rende difficile ogni previsione sulla consistenza della maggioranza. Dubbi e paure stridono con il voto unanime dell’esecutivo al decreto, le incognite politiche restano nonostante il fatto che proprio sulle riforme l’Italia si giocherà la fetta più importante della sua credibilità nei confronti di Bruxelles e delle risorse del Next Generation Eu.

I casi Gkn e Gianetti Ruote, con la messa in libertà dei dipendenti comunicata loro via mail o sui social, sono arrivati per molti come una brutta sorpresa. Il governo si era cautelato nei confronti dei tavoli di crisi più delicati, da tempo aperti al Mise, garantendo la proroga di 13 settimane di Cassa integrazione una volta sospeso il blocco dei licenziamenti. Ma quanto accaduto negli ultimi giorni è andato oltre gli stessi timori dei sindacati e del sistema delle imprese. Al punto che da più parti, politica in testa, si chiede ora di rivedere le modalità attuative della legge che ha ripristinato la possibilità di licenziare. Se basta la posta elettronica per annunciare la chiusura di un’azienda di 422 dipendenti è evidente che qualcosa non funziona. 

La riforma degli ammortizzatori sociali e quella delle politiche attive del lavoro sono in cantiere, assicura da tempo il ministro Orlando. Anche su di esse poggia il Pnrr, non a caso, soprattutto per indicare un percorso realistico a giovani e donne che nel Piano vengono ai primi due posti delle priorità su cui ricostruire il Paese. Come non è ancora chiaro, però, e la pandemia ha finito per complicare le cose. Il Sud resta indietro di 20 punti rispetto al taso di occupazione del Nord e intanto la macchina lavorativa settentrionale ha dimostrato di essersi già da tempo rimessa in moto. Il divario rischia di allargarsi ancora. 

Oggi l’Italia è divisa tra chi non ha più interesse ad un contratto stagionale o a tempo determinato perché si sente protetto dal Reddito di cittadinanza; e tra chi al contrario non riesce a trovare competenze adeguate a far crescere un’attività. In mezzo dovrebbe esserci la formazione ma al momento sembra restare ancora sullo sfondo della scena, non in primo piano come accade in molti altri Stati, spia di un Paese che fa fatica a riconvertire la sua classe operaia. Ripartire da qui appare inevitabile ma le incognite oggi sono parecchie, troppe. 

Non c’è solo un problema di digital divide, di bambini in età scolare al Sud che ancora non possiedono un Pc (specie perché non se lo possono permettere). Il tema è più ampio: come si modernizza un Paese che non brilla specie nel Mezzogiorno per infrastrutture immateriali (oltre che materiali) e dovrà comunque accrescere la propria competitività per reggere alle sfide del commercio mondiale? Il rischio che la digitalizzazione sia sostenibile in alcune aree e molto meno in quelle più povere o marginali è tutt’altro che irrealistico. È come chi prevede lo sviluppo dei prossimi anni senza un’adeguata copertura aggiuntiva occupazionale: nessuno resterà indietro è uno slogan, dimostrare che è possibile diventa un dovere.

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