L'Italia e l'estero /Gli scomodi dossier aperti sul tavolo di Gentiloni

di Ennio Di Nolfo
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Lunedì 3 Novembre 2014, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 00:11
Dopo alcuni anni di alternanza, con l’effimera presenza alla Farnesina di cinque diversi ministri (per non citare l’interim di Monti) si può alla fine dire che probabilmente l’Italia ha un ministro degli Esteri stabile il quale, salvo imprevisti, dovrebbe guidare il suo dicastero fino al 2018 e potrebbe dunque affrontare il suo lavoro con una certa serenità e con un respiro non consumato dalla precipitazione.



Tuttavia il compito di Gentiloni è tutt’altro che facile poiché egli deve costruire, su basi quanto mai fragili, oppure secondo ciò che gli indicheranno i suoi principali collaboratori, quel che negli ultimi anni è mancato, cioè una “visione strategica” della politica estera italiana nel mondo d’oggi.



Che cosa significhi dare una visione strategica non è presto detto e richiede una buona dose di riflessione, poiché è difficile costruire sulle sabbie mobili dell’individualismo dei predecessori del nuovo ministro. Un dato è certo. Parlare di politica di potenza per l’Italia non avrebbe alcun senso. Né avrebbe senso il concentrarsi sulla pur drammatica questione dei marò (che il ministro o chi per lui dovrà tuttavia risolvere).



Oggi il ministro degli Esteri deve tutelare l’immagine e gli interessi del paese quando essi si proiettano fuori dei confini nazionali. Si tratta di interessi che, vale la pena di ripetere, non riguardano tanto la potenza italiana, che è un pallido ricordo del passato, ma l’immagine, l’influenza, la capacità di non essere sopraffatti da altrui decisioni, la tutela nelle aree critiche della presenza italiana nel mondo.



Una presenza che è oggi affidata al coraggio di alcuni reparti militari che operano sotto le insegne dell’Onu ma che è soprattutto affidata alla tradizione culturale, alla capacità di far valere ciò che l’Italia è stata e può ancora essere nel mondo, alla capacità di essere presenti nei principali mercati del globo, cioè di essere uno dei soggetti della globalizzazione, anche se non il principale.



Tutto questo si propone entro alcune coordinate precise: l’Unione Europea, il Mediterraneo (Medio Oriente compreso) e la Nato (cioè i rapporti con gli Stati Uniti). Quanto all’Europa, considerato che tra due mesi terminerà il semestre di presidenza italiano (sui meriti del quale è troppo presto per esprimere una valutazione) compito del ministro dovrebbe essere quello di lavorare al seguito del dinamismo di Renzi e all’attività che la Mogherini riuscirà a svolgere, con un obiettivo preciso: tenuto conto che oggi è ben chiaro che l’Unione è dominata dalla Germania, lavorare serenamente al fianco di questa, per recuperare il ruolo che l’Italia aveva prima che l’Unione Europea acquistasse la dimensione attuale, cioè per tornare a essere alla guida del processo di creazione di una visione europea forte, capace di superare gli ostacoli attuali per evitare che si dissolva ciò che è stato costruito dal 1957 in poi. Le diatribe tra nazioni sono il sale dell’Unione e, come tale, ne sono l’essenza vitale, purché non si esageri nella ricerca di primati o primazie, che divengono allora veleno.



Non è sufficiente invece affrontare i problemi del Mediterraneo proclamando una generica volontà di pace. Occorre dire che si approva ciò che è accaduto in Tunisia ma si teme per ciò che sta accadendo in Libia; occorre definire in termini netti la posizione da prendere verso i regimi autoritari dell’area ma, più ancora, scegliere con coraggio tra i pericoli impliciti nell’azione dell’Isis e quelli derivanti dal trionfo di una visione che discrimini in termini di democrazia astratta rispetto a situazioni dove la democrazia non esiste.



Infine la Nato. Deve essere ben chiaro che la Nato è stata e resta lo scudo dell’Europa occidentale e dell’Italia; che l’intesa con gli Stati Uniti è il pilastro di questo sistema. Ma deve essere altrettanto chiaro che l’estremismo atlantico di alcuni paesi dell’Europa orientale o quello che affiora in Ucraina dopo le recenti elezioni non sono un beneficio per la pace europea e acuiscono senza frutti la necessaria coesistenza con la Russia. Piaccia o non piaccia l’autoritarismo di Putin, con la Russia è necessario trovare formule che rendano utile e agevole la coesistenza.