Innovazione o paralisi/ Tra sistema e anti-sistema la doppia anima dell’alleanza

di Mario Ajello
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 00:05
Non è un vero e proprio “connubio”, come quello celebre del 1852, anche perché Di Maio non è Cavour e Salvini non è Rattazzi. Ma è un tentativo questo targato M5S e Lega. Pareva che potesse andare più liscio, e invece sta risultando difficile perché si tratta di mettere insieme due forze politiche che rispondono ormai a due tendenze opposte. 

Il partito di Di Maio tende a rappresentarsi come il più responsabile possibile, mostra ansia di normalità, è desideroso di non apparire più come un oggetto contundente, professa un mattarellismo che naturalmente piace al Colle ma anche a quel che resta della cultura democrat, si rivolge a figure rassicuranti ma poco conosciute come Conte (ammesso che la sua candidatura a Palazzo Chigi regga) o di grande esperienza trasversale come Massolo per la Farnesina. E insomma i 5 Stelle sono in parte una forza di sistema o che aspira ad entrarci. La Lega somiglia all’opposto. 

Salvini continua a vivere se stesso come uno spauracchio contro l’establishment. Come colui che l’altro ieri è salito sul tetto di Montecitorio - dove un tempo troneggiava Di Battista e dove Di Maio non andrebbe mai - per connettersi da lì, tramite video, con il popolo. Non dalle fumose stanze degli intrighi politici, ma dall’aria aperta.

Se il leader lumbard, che byronianamente ha il gusto di «varcar le dighe della moderazione», si fosse messo anche a declamare da quel tetto l’avrebbe potuto fare alla maniera del poeta Gottfried Benn alla fine degli anni ‘20: «Solo rimangono la pianura, la vasta pianura, le stagioni, la terra, parole semplici: popolo!».
Il problema però è che sistema e anti-sistema, nel nuovo quadro di governo difficilmente componibile, non stanno soltanto l’uno nei 5 Stelle e l’altro nella Lega, in una rigida divisione dei ruoli. Convivono e si confondono anche all’interno di ognuno dei due singoli partiti. Sulle infrastrutture, per esempio, Di Maio non è di governo ma di lotta (e guarda caso questo dicastero è a sua volta di difficile assegnazione), mentre la Lega anti-sistema è così abituata da oltre vent’anni a governare i sistemi delle regioni e dei territori che non può e non vuole indulgere neanche un po’ a quel vetero-ambientalismo da decrescita felice tipico dell’ideologia grillina. Che per altri aspetti è post ma in questo delle grandi opere è paleo. 

Sulla sicurezza, lo stesso. Non esiste l’anti-sistema nella ferrea cultura securitaria del Carroccio. Tutt’altro: il partito che vuole “disordinare” l’Europa e non impiccarsi al rigore contabile nell’economia («Meglio barbari che servi» di Bruxelles) è lo stesso che persegue il law and order e pretende muscolose regole di controllo a livello sociale e nel campo dell’immigrazione. E sia su un terreno che sull’altro, spaventa le cancellerie i cui allarmi rispetto alla nuova Italia sembrano ricalcare quelli di Kurtz in «Cuore di tenebra» che si fa portavoce dell’Europa progressista che muore, gridando: «L’orrore! L’orrore!». Naturalmente non dovrebbe essere questo l’approccio giusto, da parte di chi ci guarda e ci critica da fuori, ma spesso anche da dentro (vedi certi ambienti della sinistra italiana). E bisognerebbe applicare invece un più ragionevole wait and see, coniugabile alla lezione liberale di Alexis de Tocqueville: «Per vivere in libertà, bisogna abituarsi a una vita piena di inquietudini e di cambiamenti, anche pericolosi». 
E comunque l’intreccio tra sistema e anti-sistema è così aggrovigliato che, sulla politica estera, i 5 Stelle diventati europeisti e atlantisti sono anche quelli che nel sito a loro vicino e dedicato alle questioni internazionali - L’AntiDiplomatico.it - ancora occhieggiano a posizioni anti-israeliane e filo-putiniste. Non è facile trovare la quadra in un guazzabuglio così. Nel quale l’identità della Lega è ben definita, da partitone ormai storico, l’unico sopravvissuto al ‘900, e prima era federalismo contro centralismo mentre ora è sovranismo contro sovrannazionalità, ius sanguinis contro ius soli, giustizialismo contro sistema delle garanzie. Mentre le identità di M5S sono molteplici e volubili, vivono di quelle liquidità che possono diventare imprevedibilità. Esempio: come si comporteranno di fronte ai primi rimpatri i grillini, in parte fautori di #primaglitaliani e in parte multiculturalisti e irenici? E sull’Ilva che la Lega non vuole chiudere e i 5 stelle tenderebbero a sbarrare? Questioni d’identità, appunto. E la chimica del giallo-verde su questo rischia di esplodere.
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