“Indagato” e “avvisato”/ Scomode verità nascoste dietro giochi di parole

di Carlo Nordio
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Mercoledì 7 Settembre 2016, 00:34
Pascal diceva che molte polemiche sarebbero scongiurate se ci mettessimo prima d’accordo sul significato delle parole. Parafrasando il grande filosofo, potremmo dire che molte ambiguità, e anche molte scaltrezze, sarebbero evitate se alcuni concetti del processo penale fossero spiegati in modo chiaro. Proviamo a farlo ad uso di chi, soprattutto in politica, non è laureato in giurisprudenza. L’informazione di garanzia è, sostanzialmente, un istituto introdotto quasi cinquant’anni fa. Quando era vigente il codice Rocco, firmato da Mussolini. Poiché la differenza tra democrazia e dittatura consiste nel fatto che in democrazia se suonano alle cinque del mattino pensi al lattaio, mentre durante il fascismo pensavi alla polizia segreta, il legislatore aveva inteso rimediare all’anomalia che, anche nell’Italia repubblicana, un tizio potesse essere ingabbiato all’alba prima ancora di aver saputo che si stava indagando su di lui.

Il problema era stato risolto, o almeno così si credeva, imponendo al Pubblico Ministero di avvertire per tempo l’interessato che la Giustizia lo teneva nel mirino, consentendogli così di trovarsi un avvocato e di preparare le proprie difese. Questo scrupolo garantista si tramutò presto nel suo contrario, perché il destinatario dell’atto venne subito considerato un condannato, attraverso un sinistro processo mediatico.
Consapevole di questa perversione, i vari legislatori si affannarono a cambiarne il nome, lasciandone intatti i pregiudizi e le distorsioni: così avemmo l’avviso di reità, l’avviso di reato, l’avviso di garanzia, e probabilmente altre locuzioni che ora ci sfuggono. Quando, nel 1988, fu approvato l’attuale codice alla Perry Mason la formula finale fu quella dell’ “informazione di garanzia”. Secondo la semantica e la logica, questa espressione significa che il Pm “informa” una persona, “a sua garanzia”, che sta indagando su di lui. Un gesto, quindi, quasi di favore, che avrebbe dovuto rassicurare il destinatario, posto in condizioni di difendersi prima di trovarsi improvvisamente incatenato. Di più: per distinguerlo dalla persona alla quale è attribuito un reato, si coniò l’orrido neologismo dell’”indagato”, intendendosi per tale l’individuo che, senza essere imputato, è oggetto di queste attenzioni preliminari. Per lui si istituì anche un apposito registro: appunto, il registro degli indagati. Il rapporto tra questo registro e l’informazione di garanzia è molto semplice.

L’indagato è tale non quando e perché riceve l’informazione, ma quando è iscritto nel registro. L’informazione si deve mandare quando si deve procedere a un certo tipo di attività (interrogatorio, perquisizioni ecc.) ma si può anche omettere, senza che per questo l’indagato cessi di essere tale. Quando poi quest’ultimo chiede alla Procura se il suo nome figuri nell’elenco, e la Procura risponde di sì, rilasciandone apposito certificato, l’informazione diventa inutile. Non si informa chi è già informato. A maggior ragione, se ha già nominato un difensore. La decisione della Muraro di smentire non solo la ricezione dell’avviso, ma anche la conseguente posizione di indagata, è stata dunque un’astuzia inutile e infelice. Essa tuttavia non è affatto una novità. Di questo espediente si sono serviti altri politici che, dopo aver promesso le dimissioni a fronte di un’informazione di garanzia, hanno anticipato il Pm chiedendo il certificato di iscrizione, nominando un difensore, e quindi rendendo superfluo l’invio della famigerata e pericolosa cartolina. Naturalmente, dal punto di vista sostanziale, non cambia nulla: come abbiamo detto, si è indagati perché si è iscritti, non perché si è stati informati.
 
Questo jeux de mots, per la verità poco consono a chi riveste cariche pubbliche, è naturalmente poco produttivo, perché alla fine la verità emerge, come è emersa a Roma. Tuttavia è significativo di due cose: la prima, del degrado della politica, che oltre a farsi la guerra con le armi improprie degli atti giudiziari non riesce nemmeno a definirne le funzioni, visto che l’avviso di garanzia è, come non si ripeterà mai abbastanza, un atto a vantaggio di chi lo riceve, anche se quest’ultimo ne farebbe volentieri a meno. La seconda, del fallimento di questo istituto processuale, che nel tempo si è trasformato in sinonimo di condanna anticipata. L’auspicio è che l’informazione di garanzia, che ha procurato più disastri che benefici, venga soppressa, e sostituita non nel nome, ma nella sostanza, con altri strumenti più idonei. Si dirà che così si butta via il bambino con l’acqua sporca. Si può rispondere che il la creatura è già morta, non resta che darle una più o meno onorata sepoltura.
 
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