Immunità, la politica non può abdicare al suo ruolo

di Cesare Mirabelli
3 Minuti di Lettura
Martedì 4 Agosto 2015, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 5 Agosto, 00:34
Secondo opinione diffusa le immunità parlamentari sarebbero un privilegio. Esse costituirebbero un inammissibile privilegio di casta. Limiterebbero l’azione della magistratura che procede all’accertamento di reati commessi da deputati o senatori; li difenderebbe dal processo e nel processo.

Certamente non la pensava così Costantino Mortati, costituzionalista di straordinario livello culturale per nulla incline alla difesa di privilegi ed alla protezione di politici malfattori, quando in Assemblea costituente, quale relatore in questa materia, propose che «i deputati, durante l'esercizio del mandato non possono essere arrestati se non in flagranza di reato e non possono essere sottoposti a procedimento penale senza autorizzazione della Camera». Questa formula discussa, accettata nella sostanza e modificata nella forma, fu tradotta nell’articolo 68 della Costituzione. L'istituto cardine divenne “l'autorizzazione a procedere”, che consentiva di sterilizzare il processo penale, che rimaneva sospeso se il Parlamento negava l'autorizzazione o rimaneva inerte di fronte alla richiesta della magistratura. Ed eguale autorizzazione era necessaria «per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».

Nella sua originaria e limpida impostazione questa disciplina rispondeva all’esigenza di garantire il libero esercizio della più elevata funzione politica rappresentativa, ponendo il parlamentare al riparo da incursioni giudiziarie, non tanto nel suo interesse, quanto piuttosto in quello della Camera di appartenenza, chiamata a deliberate sull’autorizzazione, assumendo una responsabilità politica.

L’uso distorto di questa disciplina, spesso utilizzata per bloccare anche i più minuti processi per reati comuni, la diffusione della corruzione politica e la legittima reazione dell’opinione pubblica, hanno portato nel 1993 a modificare l'articolo 68 della costituzione. Nessuna autorizzazione è ora richiesta per processare un parlamentare, e nessun ostacolo esiste per eseguire una sentenza definitiva di condanna che comporti la carcerazione. L'autorizzazione della Camera di appartenenza è richiesta solamente per la esecuzione di misure cautelari che, nel corso delle indagini e prima del giudizio, possono limitare la libertà personale.

C'è da chiedersi come mai è divenuta così acuta l'attenzione per questo scampolo di immunità parlamentare, tanto da prefigurare nuove modifiche alla Costituzione e l'attribuzione alla Corte costituzionale del compito di decidere sulla richiesta della magistratura di arresto di un parlamentare. Una soluzione che priverebbe il Parlamento di una storica prerogativa e finirebbe con l'attribuire alla Corte costituzionale un compito remoto dalle sue funzioni: non di arbitro in un possibile conflitto insorto tra Parlamento e magistratura, ma di preventivo controllo dei mandati di arresto in base a criteri di valutazione largamente politici.

Se si vuole contrastare la logica di schieramento, che sarebbe alla base di molte decisioni parlamentari, o di voti dati con un obiettivo politico diverso dalla legittima tutela delle prerogative parlamentari, il rimedio dovrebbe essere altro.

I regolamenti della Camera e del Senato potrebbero rafforzare il ruolo della Giunta per le immunità o le autorizzazioni, rendendo la composizione meno legata alla rappresentanza proporzionale dei gruppi politici. Le determinazioni della Giunta potrebbero divenire definitive, o le sue proposte meno soggette alla episodica e sommaria valutazione nelle votazioni in Assemblea, ad esempio mediante il rinvio in Giunta se non accolte.

Tuttavia il principale rimedio è costituito dal corretto e tempestivo funzionamento della giurisdizione. Il processo penale ha il suo culmine nelle indagini, che hanno immediato impatto sull'opinione pubblica, e non, come dovrebbe essere, nel giudizio che valuta le prove e accerta il reato. La custodia cautelare è spesso vista come anticipazione di una pena, quasi a bilanciare l'attesa di una condanna che verrà tardi o mai, anche per effetto della prescrizione del reato. Il malfunzionamento della giustizia induce a distorcere le stesse regole processuali.

Non sarebbe certo inappropriato se processi che vedono come imputato chi esercita funzioni politiche rappresentative venissero istruiti e celebrati, come è certamente possibile con la concentrazione degli atti da compiere, con assoluta rapidità. Molto spesso i ritardi sono dovuti non alle norme, ma alla inerzia ed alla disorganizzazione. L'una e l'altra non possono avere giustificazione quando mettono a rischio la credibilità delle istituzioni.