Manovra, l'aut aut dei vicepremier a Tria. Mattarella ferma le dimissioni

Manovra, l'aut aut dei vicepremier a Tria. Mattarella ferma le dimissioni
di Alberto Gentili
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Venerdì 28 Settembre 2018, 07:28 - Ultimo aggiornamento: 08:18
A sera, a palazzo Chigi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini festeggiano. Sorrisi e pacche sulle spalle. I due leader, che mercoledì hanno stretto un patto d'acciaio per stritolare Giovanni Tria strappando ben 15 miliardi in più (tutti in deficit) rispetto a quanto messo in conto dal ministro dell'Economia, hanno incassato esattamente ciò che chiedevano. Anzi, pretendevano. Ma l'hanno ottenuto a costo di lanciare a Tria un violento aut aut: la nota di aggiornamento del Def la puoi scrivere tu e devi scrivere alla voce rapporto deficit-Pil un bel 2,4%. Oppure te ne vai e la scriviamo noi. In sintesi: non hai scelta, devi cedere.

Tria ha sbandato. Ha minacciato le dimissioni. Ma proprio per evitare questo epilogo, per scongiurare il baratro, è sceso in campo Sergio Mattarella. Il capo dello Stato, quando è stato informato che il ministro dell'Economia era finito con le spalle al muro, ha chiamato Tria. Gli ha chiesto di restare per carità di Patria. Poi ha telefonato a Giuseppe Conte.

Con il premier, che si era allineato a Di Maio e Salvini facendo scattare l'isolamento del ministro, Mattarella è stato chiaro e ultimativo.

LO PSICODRAMMA
Ha fatto un discorso che è suonato più o meno così: Bisogna evitare assolutamente di precipitare il Paese in una tempesta finanziaria, se non volete garantire il rispetto dei vincoli di bilancio, almeno evitate le dimissioni di Tria. Senza di lui, che è visto dai mercati finanziari e dalle cancellerie europee come una garanzia, si rischia un'impennata senza limiti dello spread. Si rischia il default.

Ma andiamo con ordine. Partiamo dallo psicodramma andato in scena nel pomeriggio nelle stanze del governo. Dopo il cannoneggiamento subìto per l'intera giornata, con Di Maio che minacciava la crisi di governo («è inutile tirare a campare») e Salvini che gli offriva sponda, quando alle quattro del pomeriggio si è presentato a palazzo Chigi, Tria non è andato a sedersi nella sala dove erano riuniti i due vicepremier. Il responsabile dell'Economia si è tuffato in un incontro a quattr'occhi con Conte.

Lì Tria, scortato dal capo di gabinetto Roberto Garofoli e dal direttore generale Alessandro Rivera, ha offerto quella che per lui era l'ultima proposta di mediazione: il rapporto deficit-Pil all'1,9. C'è chi dice perfino al 2,1%. 3-4 decimali (5,5-7,5 miliardi) in più di quanto aveva proposto all'inizio della trattativa. Ma non sufficienti a soddisfare per intero le richieste di Di Maio e Salvini sul reddito di cittadinanza e su quota 100 per andare in pensione.
Nell'offrire al premier lo sforamento dei vincoli di bilancio, Tria ha spiegato i rischi di questa scelta. Ha illustrato, una volta di più, il pericolo di una tempesta finanziaria con conseguente impennata dello spread che potrebbe disperdere i fondi stanziati per realizzare le misure di bandiera di grillini e leghisti.

Informati da Conte, Di Maio e Salvini - descritti «allineatissimi» - non hanno esultato. Anzi. Anche perché Tria ha provato a dividerli, offrendo i 10 miliardi per il reddito di cittadinanza grillino, ma appena 2,5 miliardi (non gli 8 necessari) per quota 100 cara alla Lega. I due, nonostante il tentativo di mediazione di Giorgetti, sono stati irremovibili. Hanno chiesto a Conte di far sapere al ministro che l'asticella del rapporto deficit-Pil andava alzata al 2,4-2,5%. «Lo spread e Bruxelles se ne faranno una ragione», ha scandito il leader grillino, «l'importante è la solidità del governo e il governo da questa manovra può uscire rafforzato». Della serie: prendere o lasciare. O meglio: «Tria deve cedere, altre opzioni non ce ne sono».

L'IRA DEL MINISTRO
A questo punto, informato da Conte, il ministro dell'Economia prima ha minacciato le dimissioni. Poi, su suggerimento (telefonico) di Mattarella, ha tolto dal tavolo l'ipotesi dell'addio. L'ha fatto nell'«interesse della Nazione». Come dire: Le mie dimissioni avrebbero un effetto devastante sui mercati, molto peggiore di uno sforamento dei vincoli di bilancio.

Il passo successivo è stato chiedere un time-out. Insieme alla squadra di tecnici del Tesoro e al ministro Paolo Savona che lo conosce da tempo e ha contribuito a calmare il ministro, Tria ha salutato Conte ed è andato in via XX Settembre. Vi è restato mezz'ora. E in questi trenta minuti, insieme ai suoi, ha aggiornato e corretto le tabelle in base alle pretese di Salvini e Di Maio.

Poi, una volta rientrato a palazzo Chigi, è cominciato alle otto di sera il vertice vero e proprio. La partenza è stata rovinosa: subito stallo. Con Tria che ha provato un'ultima volta a resistere su quota 100 e con Di Maio e Salvini a fare la voce grossa. L'epilogo è stata la resa del ministro.
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