Fortuna, sentimenti e rivoluzione: gli 80 anni del Cavaliere in 20 parole

Fortuna, sentimenti e rivoluzione: gli 80 anni del Cavaliere in 20 parole
di Mario Ajello
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Giovedì 29 Settembre 2016, 08:36
Ottant'anni in 20 parole. Potrebbero essere 200 o 2.000 o 200.000 perché il tipo - Silvio Berlusconi che oggi compie 80 anni e per la prima volta dice di avere la coscienza del tempo che è passato: «Ormai sono un patriarca» - è notoriamente torrenziale in tutto: nella retorica, nelle cose fatte, subite, superate, nel modo di porsi dentro il flusso della storia italiana in buona parte da lui modellata negli ultimi decenni. «Confesso che ho vissuto», potrebbe essere questo il titolo - rubato a quel comunista di Pablo Neruda - di un'autobiografia di Silvio.
AMICIZIA. Una delle rivoluzioni berlusconiane, rispetto all'Italia classica dove gli affetti non si esibivano sulla scena pubblica, è stata quella dell'amicizia continuamente rivendicata. Quella con Gianni Letta, quella con Fedele Confalonieri che proprio in queste ora racconta: «Insieme abbiamo percorso una meravigliosa corsa di 43 anni di sodalizio. Ma io sono sempre restato sul sedile di dietro». Ma in politica, parola di Silvio: «Non ho nessuno che posso chiamare amico». Gli amici sono rimasti quelli di prima.
BARRIERE. Alcune le ha frantumate, unendo spicchi del centro e della destra italiana: i post-fascisti, certa democristianeria, la cosiddetta maggioranza silenziosa, i benpensanti e i conservatori, i liberali e gli anti-comunisti. Altre barriere le ha alzate: quella tra i moderati e la sinistra. Vedi voce seguente.
CULTURA. Uno dei pilastri culturali di Silvio sta in questo consiglio che un ghost writer diede a Richard Nixon: «Se spacchiamo il Paese a metà, possiamo prenderci la metà più grossa».
DELFINI. La ricerca è cominciata quando aveva 70 anni. Il risultato lo sintetizza lui stesso: «C'è sempre più bisogno di Silvio».
ECUMENISMO. Non stupisca questa parola revisionista. Non è vero che Berlusconi sia un decisionista. Non è vero che imponga la sua volontà. Non è vero che sia un autocrate o un autoritario. Semmai, l'opposto - perfino troppo: «Io sono buono e faccio squadra, Renzi è cattivo ed è un solista» - e, a parte che nei suoi interessi aziendali, non è stato capace o non ha voluto, imporsi davvero.
FORTUNA. Bisogna saperla conquistare, avendo «il sole in tasca». Il suo ha brillato, tra alti e bassi, per 80 anni.
GIOCARE. Silvio «homo ludens» e «puer aeternus»: «Chi non sorride fa male a se stesso e agli altri». L'Italia ha cercato di farsi contaminare da questo spirito che prima ha travolto il mondo della tivvù - la Rai di colpo diventò barbosa e fu costretta a modernizzarsi - e poi l'intera sfera pubblica.
INNOVAZIONE. «Io ricevo 200 lettere al giorno e sono delle massaie, felici perché ho regalato loro la libertà con le mie televisioni che guardano al mattino mentre fanno i mestieri di casa. Se pensassi di entrare in politica, io non farei il borgomastro di Milano, ma fonderei un partito reaganiano, punterei proprio su quel mondo, prenderei la maggioranza dei voti e governerei il Paese».
LEADERSHIP. Ovviamente carismatica.
MANOVRE. Quelle dei giudici, dei comunisti, del «vecchio establishment», dell'Europa matrigna, dei poteri internazionali che avrebbero tramato per farlo cadere del 2011. Il dark side del super-Io è la sindrome del complotto.
NAZIONAL-POPOLARE. Fin da bambino si è sentito così: «Giocavo con tutti. Con i figli dei benestanti e con i figli dei poveri». Da imprenditore ha insistito sulla strada del pop e anche successivamente: a quale statista sarebbe mai venuto in mente di recarsi a una festa di ragazzi nello sprofondo dello squallore napoletano di Casoria, con tutti i guai pubblici e privati che sono derivati? Ma la pazza idea, profondamente pop, di creare un «partito liberale di massa» (copyright Gianni Baget Bozzo) poteva venire in mente solo a lui.
OCCHETTO. Nel faccia a faccia elettorale del 94, tra Berlusconi e Occhetto, la pettinatura, l'abito, la retorica, i ritmi e gli sguardi di quest'ultimo hanno codificato nell'immaginario pubblico l'idea di sinistra. Ed è stato Silvio, tra americanismo e ottimismo, a stimolare questa codificazione. Durata fino all'avvento di Renzi.
PASSIONI. «La politica non mi ha mai appassionato». Ha detto Berlusconi in occasione di questo suo compleanno. Non è vero. E negli ultimi anni, durante tutte le sue traversie, ha sempre ripetuto: «Il personale non è politico». Non è vero neanche questo, come s'è dimostrato ai suoi danni.
QUATTRO. I «Quattro doctores» era il nome della band in cui, sulle navi da crociera, Silvio cantava e suonava il basso e Fidel Confalonieri stava al piano.
RIVOLUZIONE. Liberale o conservatrice. «La mia prima rivoluzione l'ho fatta fondando Milano 2». Poi cercando di diffondere l'idea dello «Stato minimo», ossia non invadente né prevaricatore, o mischiando politica e anti-politica (Grillo è un epigono), o in generale proponendo una nuova ideologia italiana e arci-italiana in un cocktail di iper-continuità e iper-modernità.
SENTIMENTALISMO. «Mi manca Mamma Rosa. Da quando non c'è più lei mi sento solo. Anche se Marina mi è figlia ma mi è anche sorella e madre». E Francesca? Resiste: anche se la differenza d'età ora Silvio comincia a sentirla.
TRAGEDIE. «La cosa che mi fa più male, dopo tutti gli acquisti, gli schemi di giuoco e gli straordinari successi che gli ho procurato, è stata la cessione del Milan». L'epopea cominciò nel 1986, ora s'è scoperto che i comunisti (cinesi) non mangiano i bambini ma il diavolo.
UNITED STATES. Atlantismo forever. «Sono un milanese a stelle e strisce», così si presentava ai clienti negli anni 70. Poi però la scoperta.... Vedi voce seguente.
VLAD. Nel senso di Putin. Dopo aver inventato «lo spirito di Pratica di mare» («Si deve a me se la guerra fredda è finita»), Silvio nel suo autunno ha sempre di più indossato il colbacco.
ZIO. «Vuole essere lo zio degli italiani», diceva di lui Umberto Eco. Ora Silvio assicura di voler fare soprattutto il nonno dei suoi nipotini. Difficile crederci.
Mario Ajello
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