Per andare a palazzo Chigi Di Maio toglie i veti su Renzi. Segnali al Cavaliere sulle tv

Per andare a palazzo Chigi Di Maio toglie i veti su Renzi. Segnali al Cavaliere sulle tv
di Stefania Piras
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Venerdì 6 Aprile 2018, 09:31
Piove e c'è il sole fuori dal Quirinale quando esce l'ubiquo Luigi Di Maio, che ieri dopo settimane di clima verde padano si è avvicinato al parallelo del Nazareno, al Pd a cui vuole parlare «sinceramente e in tutta la sua interezza». «Io non ho mai voluto spaccare il Pd, non ho mai chiesto una scissione interna», giura.
Nel giorno in cui i veti incrociati si arricchiscono dell'altolà berlusconiano a Di Maio, cade ufficialmente la pregiudiziale 5Stelle su Matteo Renzi. Il capo politico del Movimento, nel suo primo colloquio con il presidente della Repubblica, avverte la necessità di non chiudersi le porte che sembravano chiuse. Perché a ben guardare un canovaccio di programma col Pd c'è, esiste, non può essere ignorato. Soprattutto, se si chiudesse il forno a destra, ne servirebbe uno a sinistra. Di maio vuole incontrare Maurizio Martina, infatti, che non a caso ha lanciato cinque punti potabilissimi per il Movimento: taglio del costo del lavoro, reddito di inclusione (Martina ne propone già il raddoppio), controllo della finanza pubblica, gestione del fenomeno migratorio e rafforzamento del quadro internazionale. Su questo ultimo punto tra l'altro si è presentato a Mattarella come la quintessenza della responsabilità: «Con noi al governo l'Italia resterà alleata dell'Occidente nel Patto atlantico, nell'Unione europea e monetaria».

I DOSSIER LAVORO E CDP
Nota bene: la convergenza sui temi c'è, e non solo sul reddito di inclusione. Ieri il candidato ministro M5S Pasquale Tridico si è addirittura spinto ad applaudire gli incentivi ad alto moltiplicatore dell'Industria 4.0 di Carlo Calenda, la legge che vuole incoraggiare e sostenere le imprese che fanno innovazione. E poi, lontano dai taccuini c'è tutta la partita sulle partecipate di Stato, Cassa depositi e prestiti in primis che dovrà rinnovare i suoi vertici. La mossa su Tim, e la sua italianità, deliberata ieri in cda e pensata dal governo uscente, combacia con la formula keynesiana dei pentastellati che immaginano uno Stato innovatore che fa investimenti per rimettere in moto l'economia.
Già l'altro ieri il deputato pentastellato Stefano Buffagni lo aveva detto: «È fondamentale riprendere la nostra infrastruttura tecnologica e di telecomunicazioni perché l'interesse pubblico è sovrano in un Italia a 5 stelle».
I dem per ora non accettano gli inviti pentastellati. Ma i grillini sperano che sia solo questione di tempo. «Il Pd non vuole incontrarci? La notte porta consiglio e il fine settimana porta consiglio, se Pd vuole andare al 5% in poche settimane...», osserva, parlando a Porta a Porta il capogruppo del M5S al Senato, Danilo Toninelli. «Il Pd oggi non ha Renzi come segretario ma Martina, con cui abbiamo interloquito per gli uffici di presidenza. Sono convinto che scenderanno a miti consigli. Al loro interno hanno tante anime e potrebbe prevalere l'anima della responsabilità.
Ma Di Maio non chiude del tutto nemmeno a Berlusconi, comunque, teorizzando che «non siamo né di destra né di sinistra». Sulla Rai ad esempio è già in corso una trattativa riservata tra M5S e Lega per dirimere il nodo, delicatissimo, del tema tv. Il convitato di pietra, ovvio, è il Cavaliere. «Il Cav? Va combattuto politicamente, a queste elezioni è stato sconfitto, la coalizione di centrodestra di fatto non esiste, per noi è un imprenditore, punto», la linea dei vertici 5Stelle. Che infatti su questo fronte hanno schierato due uomini-chiave che potremmo vedere in commissione di Vigilanza Rai: Emilio Carelli e Gianluigi Paragone. Entrambi hanno lavorato a lungo in Mediaset e conoscono quel mondo, e la sua specificità aziendale che, come Forza Italia, non può prescindere dal Cav. In ballo c'è, in particolare, il nodo dei diritti tv con il caso Vivendi

A tenere aperto il canale pentastellato con Arcore pensa anche il leghista Giancarlo Giorgetti. «Berlusconi preferisce guardare al Pd - ammette - ma il Pd ha perso le elezioni. Il M5S invece ha avuto la fiducia di oltre 11 milioni di elettori. Può non piacere, ma la realtà è questa e se si vuole fare un governo per fare cose importanti si deve fare un governo forte con numeri forti». Il capogruppo leghista esclude che esistano personalità terze che possano favorire la quadra: «Non credo sia immaginabile un tecnico, un professore o chi altro perché non sono espressione del voto del popolo».

Perché la verità, al netto delle cannonate reciproche che si sparano i Cinquestelle e Berlusconi, è che tutti in queste ore hanno bisogno di tutti e nessuno può escludere a priori alleanze con nessuno.
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