La giustizia non insegua il consenso, stesse garanzie con processi più brevi

di Paola Severino
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- Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 00:05
Si respirava un’aria bella e costruttiva ieri, in Cassazione, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Abituati come eravamo a relazioni che a volte si risolvevano in un “cahier de doléances” sugli annosi problemi della Giustizia, ascoltare anche e soprattutto apprezzamenti per le riforme attuate e stimoli a quelle ancora da realizzare, ha segnato un cambio di registro che si auspica possa proseguire nel futuro.

La densa e contemporaneamente sintetica relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, fresco di nomina, si è aperta con un richiamo alla conoscenza e all’etica del limite, quali caratteristiche del giudice, che deve raccordare «potere, dovere e responsabilità, sì da scongiurare il rischio che la supplenza della magistratura, all’incrocio tra politica, economia e diritto, sposti il fondamento della legittimazione sul terreno delle pratiche del consenso popolare». 
Ho voluto trascrivere testualmente il passaggio perché sarebbe difficile sintetizzare con maggiore efficacia concetti così delicati e difficili da coniugare senza il rischio di squilibrare i piatti della bilancia. Ne discende che un corretto confronto fra la dimensione giurisprudenziale del diritto vivente e il principio di legalità formale deve risolversi nel rispetto delle garanzie di prevedibilità, stabilità e uniformità della decisione. Garanzie che non solo tutti i cittadini invocano, ma di cui l’economia ha un profondo bisogno.
 
Le imprese, nella selva normativa che ne disciplina la vita, richiedono una legislazione chiara e una giurisprudenza che trovi nella specializzazione la chiave della “predictability” delle decisioni. Solo così giustizia ed economia non rappresenteranno più due termini in contrapposizione, ma due elementi consonanti per la crescita del Paese.
Certo, rimane il tema della durata dei processi civili e penali. Ma anche qui, sia il Presidente ed il Procuratore Generale, sia il Ministro della Giustizia non hanno mancato di far sentire una voce di speranza ed una prospettiva di miglioramento attuale e futura, tratteggiando efficacemente i temi della deflazione della domanda di giustizia e dell’attenzione alla qualità della risposta che ad essa si può dare. 

In particolare, il fil rouge che ha legato le riforme su questo tema nei Governi che da ultimi si sono succeduti con criteri di assoluta omogeneità è stato ampiamente evocato e rappresentato come chiave di un successo che solo cambiamenti strutturali che si susseguano nel tempo e con connotazioni uniformi possono dare. Il richiamo agli istituti già varati con successo del filtro in appello, del processo telematico, dal ricorso a sezioni specializzate, si è accompagnato alla illustrazione di altri interventi, futuri ed auspicati, di auto-organizzazione della Corte, di modelli legali di motivazione sintetica, di limitazione del ricorso alla sola violazione di legge in caso di “doppia conforme” assolutoria. 

Si tratta di alcuni soltanto dei suggerimenti proposti dal Presidente Canzio e ripresi dal Ministro Orlando. Sarebbe qui impossibile elencarli tutti, ma è invece opportuno sottolineare come essi siano accomunati da una fondamentale caratteristica: riuscire a mantenere un alto livello di garanzie, pur accelerando e semplificando alcuni procedimenti. Proprio l’attenzione ad entrambi gli aspetti ha portato i rappresentanti dell’Avvocatura pubblica e privata, nelle loro relazioni, a conclusioni totalmente convergenti (fatto anche questo da segnalare come prezioso e non frequente) sul presente e sul futuro della Giustizia in Italia. Conclusioni sintetizzate con rara efficacia nella relazione del Primo Presidente: «Il Paese ha sete di giustizia, legalità, efficienza ed efficacia della giurisdizione. Chiede che la legge venga applicata in modo uniforme e rapido e che tutti abbiano un uguale trattamento in casi simili». Una conclusione questa cui non solo i giuristi, ma anche tutti i cittadini di buona volontà, credo vorrebbero associarsi.
 
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