Gentiloni: «Cambiare regole di Dublino. Marò? Lavoreremo per la loro libertà»

Gentiloni: «Cambiare regole di Dublino. Marò? Lavoreremo per la loro libertà»
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Lunedì 24 Agosto 2015, 17:05 - Ultimo aggiornamento: 17:09

Bisogna cambiare le regole della Convenzione di Dublino: «oggi non possono più valere». Lo dice il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al meeting di Cl riferendosi alla emergenza immigrazione.

«La Convenzione di Dublino - spiega Gentiloni - regola le cose oggi, ma viene da un'altra epoca storica. Oggi in realtà le cose devono tener conto di numeri enormi, di organizzazioni criminali particolarmente agguerrite, di guerre, crisi, situazioni di fame in alcuni Paesi. Quelle regole - ammonisce - non possono più valere. Noi come italiani non possiamo più vedere imbarcazioni di altri Paesi che per fortuna ci aiutano nel soccorso in mare ma poi portano i rifugiati nei porti italiani. È uno degli aspetti da cambiare. Il concetto è molto semplice: il problema è europeo e le regole di accoglienza devono essere condivise a livello europeo. È uno dei temi su cui il Meeting insiste», conclude.

«L'Italia lavorerà per la libertà dei marò». A proposito della questione marò, secondo Gentiloni la sentenza di Amburgo è «un risultato utile.

Ha stabilito in forma definitiva il principio molto importante che non sarà la giustizia indiana a gestire la vicenda dei Marò. Per noi è un risultato utile. Sarà l'arbitrato internazionale come l'Italia aveva chiesto, a gestire questo caso».

«Il governo italiano resta impegnato sull'obiettivo nel corso della vicenda arbitrale per garantire la libertà ai due fucilieri», ha promesso Gentiloni. «Sappiamo - ha aggiunto il ministro - che l'Enrica Lexie era in acque internazionali, che i due Marò svolgevano il loro compito di militari in rappresentanza dello Stato. Continueremo a lavorare per questo obiettivo alla Corte arbitrale straordinaria che si riunirà nelle prossime settimane. Ma la decisione di oggi è una premessa positiva: quando si stabilisce che non sarà la giustizia indiana ma l'arbitrato internazionale a decidere si stabilisce un principio che è alla base di sviluppi che credo positivi».

«Non faremo avventure militari nel deserto in Libia». Per quanto riguarda la minaccia del terrorismo, il ministro ha sottolineato che «Dobbiamo scongiurare l'idea dello scontro tra civilizzazioni e, peggio ancora, tra religioni. E l'unico modo per farlo è combattere il fondamentalismo terrorista».

A quanti esortano il governo «ad uscire dall'esitazione» riguardo alla crisi libica, immaginando

«logiche interventiste», il ministro risponde dicendo che queste logiche finirebbero solo per peggiorare la situazione e che «Avventure nel deserto le forze armate italiane e il governo italiano non ne faranno».

L'Italia, ha argomentato Gentiloni, è «certamente» disposta a fare la propria parte per sostenere «con ogni mezzo» il negoziato in Libia ed è «senz'altro» pronta a candidarsi per «guidare» il «lavoro di consolidamento» nel caso il negoziato abbia un esito positivo. Inoltre, il nostro Paese è «certamente» impegnato nel lavoro di «contenimento» della minaccia terroristica. Tuttavia, ha sottolineato il titolare della Farnesina, l'Italia non è disposta ad intraprendere «avventure» militari in Libia.

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