Fecondazione eterologa, Vescovi: quelli che nascono così sono figli di un solo genitore

di Carla Massi
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Giovedì 10 Aprile 2014, 13:19
Mettiamo che un giorno, il figlio nato con la fecondazione eterologa, scopre di avere una malattia genetica. E servono riscontri nei genitori o nei fratelli. Quanti sanno che, anche in un caso come questo, non è possibile risalire al donatore?». Angelo Vescovi, biologo e farmacologo, direttore scientifico dell’Istituto di ricerca e ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, è certo che la decisione della Consulta potrà generare situazioni eticamente e scientificamente assai complesse.



A parte il caso della malattia lei crede che un figlio vorrà prima o poi sapere qual è il suo genitore-donatore?

«In Gran Bretagna non si contano le cause. Uomini e donne anche adulti si stanno battendo per avere il nome di chi li ha generati, la scienza cozza con i sentimenti più profondi».



Si è detto che il no all’eterologa negava, di fatto, la gioia ad una coppia che voleva avere un figlio o più figli?

«Credo che molti non si rendano conto che cosa voglia dire tirare su un bambino che, di fatto, è figlio di uno solo. L’altro genitore è un estraneo. Un intruso, in qualche modo».



Ma ha permesso di realizzare il desiderio?

«Il desiderio è avere un figlio con chi si ama non un figlio ad ogni costo con chiunque. Allora è meglio adottare e offrire un vita migliore a chi sta messo male».



E’ come se dicesse che l’eterologa è una scelta molto egoistica, o no?

«Quella vita non è figlia di una coppia che ha deciso di generare insieme. L’eterologa, di fatto, sterilizza l’atto che uno dei due, seppur in laboratorio, ha avuto con un altro».



Una sorta di tradimento?

«Non voglio arrivare a bollare la scelta con una parola ma certamente è un’autoassoluzione».



In che senso?

«Se l’uomo o la donna non sterile decide di avere un rapporto con un’altra persona è possibile che il bambino arrivi. Ma in quel caso si tratta di un atto vero. Così, invece, la tecnica permette una sorta di rapporto surrogato».



Lei, dunque, non accetterebbe la fecondazione eterologa?

«Io no, mai. Piuttosto adotterei, come ho detto».



Pensa che anche l’adulto che non si è sottoposto alla tecnica possa con il tempo avere dei ripensamenti?

«Sì penso ad una specie di fenomeno di rigetto, quel figlio nasce dall’unione di un terzo. Non è certo che tutto si superi con il tempo».



Ma l’amore della coppia non basta ad appianare i problemi che lei solleva?

«La tecnologia non può governare l’impatto emotivo che può uscire fuori quando uno meno se lo aspetta. Quel figlio è solo di uno dei due, va ricordato».