Family day/Ma se lo scontro resta ideologico perderanno tutti

di Franco Cardini
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- Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 00:05
Chi c’era ieri al Circo Massimo? Lasciamo perdere la solita scontatissima lotta sui numeri e sulle percentuali. Parliamo della qualità dei presenti.

Tantissimi, certo; e tuttavia magari meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, è vero anche questo. In tempi di “società dello spettacolo” e, d’altra parte, di demobilitazione politica e morale (la gente preferisce dir la sua, magari con violenza mantenendo però l’anonimato, sui blog), sembrano contare solo i temi più forti: lo “scontro di civiltà”, i migranti, la salvaguardia della famiglia tradizionale o la sua disgregazione in quanto disadatta ai nostri tempi e da essi superata.

L’immediata posta in palio, ovviamente, è il contrapposto tentativo da parte di due parti almeno a prima vista ben definibili e fieramente schierate l’una contro l’altra (ma che non sappiamo quale percentuale della società civile rappresentino messe insieme) di far sentire al “paese legale” - il governo e il parlamento - quale sia l’umore del “paese reale”. In tempi di democrazia in qualche misura effettivamente partecipata, l’opinione pubblica faceva sentire i diversi toni della sua voce attraverso la mediazione tutto sommato autorevole e affidabile dei partiti; oggi, in tempi di democrazia “virtuale”, le folle (quando sono tali) scendono in piazza rispondendo più o meno “spontaneamente” al richiamo di una pluralità di gruppi, di centri, di associazioni. E la problematica attorno al quale esse si aggregano è ridotta al minimo, all’essenziale, all’elementare. 

 
In altri termini, c’è da chiedersi quante delle decine di migliaia di persone riunite ieri al Circo Massimo, o delle altre decine di migliaia che già sono scese e in futuro scenderanno in piazza per difendere le ragioni opposte alle loro, abbiano chiara la ragione immediata del contendere, vale a dire il contenuto del ddl Cirinnà. In realtà, quella alla quale stiamo assistendo il tutto il Paese è una grande kermesse sul tipo del derby calcistico: ci sono quelli che “stanno” per la famiglia tradizionale, spesso senza domandarsi trappe cose su che cosa ciò significhi al giorno d’oggi e tantomeno su quanto la loro personale situazione privata ad essa si adegui, e quelli che insistono invece sull’illimitata libertà individuale nelle questioni affettive e sessuali pretendendo che la società civile prenda passivamente atto di qualunque scelta individuale e magari arbitraria e la traduca in termini di tutela giuridica e istituzionale. Se si vuole, siamo daccapo – dopo tante discussioni al riguardo – al confronto tra due posizioni entrambe di destra e di sinistra “classiche”: da una parte la difesa di una tradizione che tutti sappiamo ancora tutto sommato forte in Italia (conformismo, finzione e menzogne a parte) ma rispetto alla quale sono ormai evidenti le eccezioni e le controindicazioni che non possono essere negate e tantomeno represse; dall’altra la pretesa della tutela di una libertà che pretende di estendere a tutti qualunque forma di diritto ma che non perde poi tempo ad analizzare i possibili risultati dell’ipotetica realizzazione di quanto chiede.

Quali conseguenze scatenerebbe, quali costi sociali e anche etici comporterebbe, un’indiscriminata accettazione ad esempio del principio della liberà di adozione di figli da parte di coppie omosessuali. E allora, mentre il voto in senato sulle unioni civili slitta almeno di una decina di giorni rispetto al limite di fine gennaio ch’era stato annunziato, il quadro sociopolitico effettivo si rivela evidente per quello che è. Piaccia o no (e a me personalmente, come cattolico, non piace), oggi i cittadini italiani decidono di trascorrere insieme una parte della loro esistenza sulla base di molte possibili scelte: matrimonio religioso o laico entrambi contratti su una base naturale (la possibilità di avere figli) ed entrambi riconosciuti dallo Stato, coppie di fatto eterosessuali tra partner uno o entrambi i quali possono o no essersi già impegnati in matrimoni legittimi, coppie di fatto omosessuali; alcune di queste formule comportano che la coppia possa procreare figli, altre – non avendo tale possibilità sul piano naturale – aprono il problema che essa possa averne, se non di naturali, di adottati.

È comprensibile che la Chiesa cattolica, attraverso ad esempio la Cei, si schieri contro l’eventualità che un figlio possa avere due padri o due madri sul piano giuridico, anziché un padre e una madre. Ma è poi vero che questa sia una «mutazione culturale dell’Occidente?». Accettando con la fondazione della Modernità, dai secoli XVI-XVIII, il primato dell’individualismo e delle libertà individuali come criterio fondante della cultura appunto occidentale, il nostro Occidente non si era forse già implicitamente esposto a esiti di questo genere? E il fatto che oggi nelle scuole si dibatta anche in toni accesi a proposito del possibile disagio dei figli di genitori gay ma non si sia in grado di esprimere una chiara e seria risposta scientifica alla domanda relativa al carattere di quel disagio, non comporta forse come necessaria conseguenza che ad esempio i cattolici possano soltanto restar fedeli alla loro visione del mondo ma accettare che, in una società laica e caratterizzata quindi da una molteplicità di valori, il problema non è che alcuni di essi prevalgano sugli altri ma che tutti trovano il modo di convivere ordinatamente? 
Impostare l’ordinata convivenza è appunto compito delle leggi: che in un sistema democratico-parlamentare vengono formulate dal parlamento.

Se l’oggetto di esse è particolarmente intenso sul piano civico ed etico, ordinariamente si ricorre allo strumento del referendum. Poiché è molto probabile che dal dibattito parlamentare sul ddl Cirinnà emerga un contraddittorio papocchio del tipo che scaturì dai “Dico” e dalla discussione sulla procreazione assistita di prodiana memoria, si potrebbe anche arrivare al referendum come minaccia l’Ncd di Angelino Alfano. Il fatto è che Alfano ha agitato la prospettiva del referendum per ottenere più spazio al suo partito nella compagine governativa, mentre francamente tanto zelo per la famiglia cattolica tradizionale da parte di Brunetta o dei parlamentari verdiniani costituisce francamente un’amena sorpresa.

La verità su tutta la faccenda, a dire il vero, emerge chiara già dal modo in cui l’ha impostata, con la consueta concretezza di realpolitiker, Matteo Renzi lasciando piena libertà di coscienza ai membri del Pd. Il premier difende il ddl Cirinnà considerando tranquillamente l’ipotesi che esso, in sede di discussione parlamentare, possa uscite tanto edulcorato da trasformare la cosiddetta stepchild adotion in una sorta di affido un po’ più garantito. L’importante, per Renzi, è che la maggioranza parlamentare rimanga nelle sue mani, per quanto costruita da ingredienti anche eterogenei e instabili: dopodiché, egli è ben deciso a far propria e a tutelare, guidandola egemonicamente, qualunque scelta maggioritaria. La cosa fondamentale è che si esprima un voto di maggioranza politicamente gestibile: i contenuti di esso sono del tutto secondari. 

Chi dice che Renzi non ha un programma chiaro non ha ancora capito che esso è viceversa chiarissimo e costituito di un solo articolo: restare in sella al governo, durare il più a lungo possibile. L’insorgere di una parte del paese reale e il tentativo del centrodestra di egemonizzare l’insorgenza nel nome della famiglia “naturale” e “tradizionale” è un bastone che le forze di minoranza cercano di metter fra le ruote del governo. E il cattolico Renzi, capo di un partito di coalizione laico-cattolica, non può che appoggiare la crociata laica, libertaria e progressista dei diritti delle coppie omosessuale impavidamente condotta dalla senatrice Cirinnà suggerendo poi ai cattolici del suo partito di affondarla votando “secondo coscienza”. I tempi frattanto si allungano, i problemi si accatastano gli uni sugli altri, le apparizioni in Tv e le lotte a colpi di twitter faranno il resto. Faticosa ma consueta routine della vita democratica virtuale. E la vita continua: e il governo anche.

Tutto bene. Ma teniamo a mente, qualunque sia il modello familiare cui ci rifacciamo, che la sua difesa sta nella nostra testimonianza quotidiana, nel nostro modo di agire. I Family Day sono, come i Gay Pride Day, mascherate spettacolaristiche: che i loro modelli siano desunti da Lourdes o da Rio de Janeiro è del tutto irrilevante. 
 
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