Il caso fake news/ False notizie, la cultura come antidoto al male antico

di Marco Gervasoni
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Martedì 28 Novembre 2017, 00:02
Nulla di solito ha l’aria più falsa del vero, mentre il falso ha sempre una grande apparenza di probabilità». Con questa battuta dello scrittore francese Theophile Gautier si potrebbe chiudere la polemica sulle cosiddette «false notizie» (usiamola, la lingua italiana!) Nonostante l’età media del nostro paese sia piuttosto alta, sembra infatti che tutti abbiano smarrito la memoria anche recente, novelli Alice nel paese della meraviglie.

E allora, per rinfrescala un po’, ricordiamo che da quando l’uomo, millenni fa, si è messo in testa di occuparsi di politica, ha cominciato a raccontare e a diffondere falsità. Spesso per poter spadroneggiare, ma altrettanto spesso solo per seminare disordine. Da quando poi, con la Rivoluzione francese, la politica è diventata una religione secolarizzata di massa, essa tende sempre più a mentire: e a farsi propaganda. 

Benché la parola sia stata coniata nel Cinquecento dai gesuiti per combattere i protestanti, la propaganda contemporanea fu inventata dalle forze politiche totalitarie; dai comunisti e poi, per imitazione, da fascisti e nazisti.
L’Italia della guerra fredda fino al 1989 è stata percorsa da lotte tra false notizie, di un campo e dell’altro. A cominciare dal 1948, prima campagna elettorale della Repubblica. 

Raccontare che se avesse vinto il Pci i cosacchi si sarebbero abbeverati a San Pietro era altrettanto mistificante che chiamare De Gasperi « il nuovo Hitler» (la prima ipotesi era però decisamente più probabile); eppure i «padri della Repubblica» le fandonie se le sono rimpallate a iosa gli uni contro gli altri. E giornali oggi considerati a giusto titolo gloriosi per molti anni diffusero false notizie, per di più nell’interesse di paesi nostri nemici. La natura umana non cambia. Cambiano però gli strumenti di cui l’uomo dispone per mentire. E oggi sono stupefacenti. Con quella che il sociologo Barry Wellman chiama la «triplice rivoluzione» (internet, social e telefoni mobili) un singolo individuo può, restando anonimo, costruire panzane e diffonderle presso platee vastissime, con la certezza che vengano recepite e provochino un effetto cascata. Spesso poi, dietro questo individuo, stanno agenzie estere interessate a influenzare il governo del paese. Anche questo è sempre accaduto: ma oggi la tecnologia digitale consente a una paese straniero di manipolare il dibattito senza lasciare traccia, quindi senza averne a rispondere per via diplomatiche (e non lo fa solo la Russia). I più preoccupati sembrano alcuni politici: a terrorizzarli però, più che le false notizie, di cui tutti loro in diversa misura fanno uso, è il non sapere come controllare quelle degli altri. Però ameremmo ascoltare meno lagnanze e più soluzioni. Quelle repressive oggi non sembrano molto efficaci, a meno che non si introduca la via cinese (censura preventiva sul web). La legge tedesca, a cui si ispira la proposta giacente in Parlamento, non si è dimostrata molto incisiva; e ha fatto alzare il sopracciglio anche a qualche costituzionalista. Nel frattempo, mentre qualcuno fantastica di «algoritmi» che potrebbero «distinguere il vero dal falso» (auguri), i politici potrebbero modestamente intraprendere due strade: facciano sì di migliorare l’istruzione dei cittadini, che così cadrebbero meno facilmente vittime di notizie che per ora sono fabbricate da menti tutt’altro che raffinatissime. E poi si impegnino, quelli che si sentono perseguitati, anche loro nella politica digitale, in maniera seria, replicando alle falsità non con proposte poliziesche ma con una più convincente contro-propaganda. Non illudiamoci però. Come scriveva il grande storico Marc Bloch di fronte alle false notizie profuse dagli eserciti in lotta un secolo fa, «l’errore» si propaga perché c’è una società pronta ad accoglierlo, «in essa inconsciamente gli uomini esprimono i loro pregiudizi, i loro odi, i loro timori, tutte le loro emozioni forti»: e la rivoluzione digitale, queste emozioni, più che moderarle le fa divampare.
 
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