La linea dura/ Tre incassi nella crisi dell’Europa

di Marco Gervasoni
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Domenica 15 Luglio 2018, 01:00
La nuova politica nei confronti dell’immigrazione, scandita ogni volta dal nome di una nave (Aquarius, Diciotti), si deve basare sull’esperienza.
La nuova politica si sta affermando sulla base del tracciato dell’esperienza, visto che regole comuni non esistono, o non vengono rispettate e in ogni caso conducono a poco. L’esecutivo si muove in una sorta di stato di eccezione, in cui è impossibile compiere errori: ma chi critica, magari scendendo in piazza con le magliette rosse, dovrebbe però anche offrire soluzioni che non siano l’accoglimento indiscriminato di tutti i migranti. Ora eccoci alla nuova emergenza: non conoscendo il nome del barcone di 450 uomini la chiameremo crisi della Frontex, imbarcazione che, assieme a una della Guardia di finanza, ha preso a bordo i migranti partiti dalla Libia. E già qui vediamo la prima importante novità: l’entrata nella mischia della Ue, sia pure in forma timida, insufficiente e simbolica, frutto in parte delle decisioni dell’ultimo Consiglio di Bruxelles, che ha delegato all’Agenzia della guardia di frontiera e costiera il compito di pattugliamento del limes europeo - eliminando di fatto le Ong pronte a sbarcare nei nostri porti. Ma se Frontex c’è, legittima è stata la richiesta del governo Conte di redistribuire i migranti nei Paesi europei. E ha fatto benissimo, perché per la prima volta la richiesta è stata ascoltata, seconda importante novità. Anche se 50 migranti rispettivamente a Malta e a Parigi possono essere considerati una cifra simbolica, bisogna riconoscere che il cambiamento prodotto dalla reazione del governo di fronte al caso dell’Aquarius e poi la tenuta ferma dell’esecutivo all’ultimo consiglio di Bruxelles sembrano aver generato qualche risultato. Chi ha ironizzato, allora, di fronte al supposto fallimento e all’isolamento del governo dovrebbe ricredersi. E’ poi importante che i Paesi volenterosi siano Malta e la Francia. Con la prima, infatti, abbiamo avuto fin da subito scontri feroci. Con Parigi, beh il clima è teso da tempo, e del resto Macron a Bruxelles aveva spiegato che l’Italia, e non certo la Francia, avrebbe dovuto essere paese di primo approdo. Cosa è successo nel frattempo? Non lo sappiamo, ma se possiamo avanzare qualche ipotesi, il viaggio europeo del ciclone Trump e l’appoggio del presidente Usa al nostro esecutivo qualcosa devono aver contato. Ma ha soprattutto contato l’aut aut minacciato dal governo, quello di riportare la nave in Libia in caso di mancata solidarietà europea. Strada non semplice, che avrebbe richiesto contatti con il legittimo governo di Al Serraj, ma percorribile, a dispetto di quello che molti pensano. Secondo loro sarebbe stata invece una via preclusa perché da considerarsi respingimento in mare, vietato dalla Convenzione dei diritti umani, per cui l’Italia è già stata condannata dalla omonima Corte europea. Senza entrare in discussioni di diritto della navigazione, e con perplessità su molte sentenza della Corte di Strasburgo, non ci pare che l’Australia, che i respingimenti li pratica da anni, possa essere considerata ostile ai diritti umani. E comunque, lasciando degenerare, senza governo, nell’anarchia e nel disordine la situazione, ai respingimenti veri e propri prima o poi ci si arriverà comunque. Siamo in una sorta di stato di guerra, dove i nemici sono i trafficanti di uomini, gli scafisti che, come ha scritto qui ieri Carlo Nordio, «modulano» le loro azioni «a seconda delle nostre reazioni». A cui l’Italia deve rispondere difendendosi. Come ha fatto ieri. Avrete notato che non abbiamo citato neppure una volta il nome di Salvini: protagonista, in qualsiasi modo la si pensi, delle crisi precedenti. Qui il Viminale, che pure si è fatto sentire, sembra per il momento aver lanciato in primo piano il premier. È la terza novità di questa crisi. Ed è giusto che sia così. Ciò infatti giova alla tenuta e alla compattezza dell’esecutivo, restituendo tutta l’importanza di Conte che, nelle crisi precedenti, sembrava assente. Ma il maggior coordinamento delle politiche dell’emigrazione fornisce maggior forza anche alle ragioni di Salvini, che evidentemente non potrà passare i prossimi mesi a intestarsi tutte le battaglie navali, quelle vinte e quelle perse. Questa è stata sicuramente vinta anche se, c’è da credere, non sarà l’ultima crisi da battezzare con il nome di un natante.
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