L’eredità Pannella/ La giustizia come priorità, una lezione inascoltata

L’eredità Pannella/ La giustizia come priorità, una lezione inascoltata
di Virman Cusenza
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Venerdì 20 Maggio 2016, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 21 Maggio, 09:14
Il rivoluzionario della giustizia. Sfrondato da tutti gli orpelli e le etichette che gli hanno appioppato in vita e che dopo morto già abbondano soprattutto sulla bocca di chi non lo ha mai amato, soprattutto questo era Marco Pannella. Adesso a processo di beatificazione appena avviato, nel solito rito italico della santificazione post mortem dell’avversario se non del nemico, apparirà chiaro che il suo lascito più importante consiste proprio nelle battaglie garantiste e anti-giustizialiste. Con una violenza che a volte intimidiva perfino chi era già culturalmente affine o persino d’accordo con lui, Pannella ha bombardato la piaga infetta e mai sanata del nostro sistema politico: il deficit di giustizia.

La negazione delle garanzie del cittadino nel processo, gli abusi del sistema giudiziario, lo squilibrio tra le parti, l’uso perverso delle inchieste come clava per abbattere l’avversario politico. Poteva essere il vaccino giusto per curare la malattia, è diventato la maschera deformata di una rivendicazione inappagata nel nostro Paese. Ha capito prima di tutti che solo se la giustizia è un valore fondante e condiviso in un Paese questo può raggiungere i traguardi di benessere e di civiltà a cui i cittadini liberi hanno diritto. La giustizia come prima delle riforme. E certo non è un caso se proprio questa è la riforma perennemente incompiuta del sistema Italia, quella tentata da alcuni protagonisti della scena politica, ma sempre rimandata e allontanata come un lusso impossibile.

 


Figlie di questa priorità inappagata, in fin dei conti, sono tutte le altre battaglie libertarie e liberali di Pannella. Dal traguardo paritario del divorzio a quello dell'aborto, nato per spezzare l’iniquità della condizione della donna. L’elezione diretta del governo per eliminare il gap tra cittadini e classe politico-partitocratica che decideva nelle segrete stanze. La “religione” del maggioritario, al di là della bontà o meno intrinseca di sistema elettorale, come grimaldello per consentire agli elettori un match tra candidati all’insegna della scelta del più convincente. E potremmo continuare con i primi referendum, buoni a infrangere la cappa stagnante sulla società italiana. E poi inflazionati in un rito stanco e ripetitivo. Fino al diritto all’eutanasia, una scelta personalissima e del tutto affidata alla coscienza di ciascuno, ma che andava sottratta al maglio oppressivo di autorità superiori o di magisteri religiosi, proprio per rendere gli uomini liberi e padroni della loro vita fino all’ultimo.

Questa è la semina abbondante di Pannella, raro e solitario apripista delle principali riforme di questo Paese.
Picconatore di tabù, talvolta con la malagrazia dei pionieri e dei demolitori. Talvolta con l’overdose quasi caricaturale di un carattere debordante e narciso che gli ha alienato parecchie simpatie a destra e a sinistra. Unica spiegazione dell’ingiustizia, degna di un Paese codino e sempre troppo ortodosso, che ha subìto fino alla morte: la mancata nomina a senatore a vita, di cui alla fine non gli importava più granché. Forse l’unico tardivo quanto paradossale risarcimento sarà proprio l’abolizione di quel Senato che con la sua presenza egli avrebbe reso ancora vivo.
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