Caccia agli elettori/Se il candidato si mimetizza per avere i voti dei moderati

di Marco Gervasoni
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Mercoledì 8 Giugno 2016, 00:05
I volti delle forze politiche sono sempre duplici, la comunicazione da un lato e i programmi da realizzare dall’altro. Spesso le due facce compongono un ritratto armonico, ma in alcuni frangenti la prima serve a mascherare la seconda. Com’è il caso del Movimento 5 stelle che oggi tende a raccogliere tutti gli umori e le pulsioni ostili al governo e soprattutto a Matteo Renzi.
Essendo autenticamente “né destra né sinistra”, diversamente dai suoi omologhi, lo spagnolo Podemos di estrema sinistra, e l’inglese Ukip più conservatore, il movimento fondato da Gianroberto Casaleggio può permettersi di pascolare liberamente sul terreno elettorale, raccogliendo le macerie della Seconda Repubblica, tanto tra gli elettori delusi del centro-sinistra e del Pd quanto tra quelli del centro-destra, come del resto aveva già fatto nelle politiche del 2013. Post-ideologico, il M5s si muove a proprio agio laddove vi sia un vuoto politico, oggi collocato dove un tempo era l’Invincibile Armada berlusconiana, ancora tre anni fa un esercito di tutto rispetto, ma oggi decisamente allo sbando, a parte Milano, Napoli e Trieste. Il pieno politico è invece rappresentato da Renzi, che non persegue, con buona pace dei bersaniani e della catacombale sinistra radicale, una politica rivolta ai moderati: le politiche del suo governo sono infatti del tutto interne alla sinistra, tranne alcune incursioni.
 

Tanto che il travaso di voti berlusconiani al Pd, paventato da alcuni e auspicato da altri, è avvenuto di rado, e in forme consistenti solo nelle Europee del 2014. Di certo è difficile accada tra due domeniche ai ballottaggi. Da qui l’attenzione del M5s verso questo elettorato, con una strategia esclusivamente comunicativa. Via gli urlatori, le barbe mal rasate, i jeans strappati e l’italiano claudicante dei primi tempi (e di alcuni esponenti, in particolare romani) largo ai volti sbarbati, ai completi grigi e blu, alle cravatte in tinta e all’eloquio pacato, anche se un po’ doroteo, di Luigi Di Maio, a tutt’oggi il volto nazionale del movimento, se non il leader. Via soprattutto a candidature giuste in quelle realtà in cui, oltre al Pd, non c’è nulla o un’armata rissosa e inconcludente, come Roma e Torino.
Qui sono state selezionate, con procedure non certo paragonabili alle primarie, due figure, equivalente femminile di Di Maio, adatte per piacere ai moderati che infatti le hanno votate già in prima battuta, soprattutto a Torino. Mentre in città in cui non c’era vuoto politico attorno al Pd, Milano e Napoli, le scelte delle candidature M5s sono state meno felici. Questo elemento deve essere ben tenuto in considerazione perché la Casaleggio Associati è soprattutto un’azienda di comunicazione.
Se però i moderati leggessero i programmi dei suoi candidati, sorriderebbero di meno. Pur nella loro genericità, le proposte dei 5 Stelle sono, sul piano economico, ultra dirigiste, stataliste e assistenzialiste, dall’appoggio al reddito di cittadinanza alla fascinazione per le bizzarre teorie della “moneta parallela”, animate da un anticapitalismo che certo dovrebbe far rabbrividire, almeno gli ex elettori di Forza Italia. Sulle tasse, poi, un silenzio inquietante. E pure sulla sicurezza e sull’immigrazione, se Grillo in passato ha fatto sparate “lepeniste”, i suoi candidati descrivono un mondo dove tutti, italiani e immigrati, si abbracciano, e in cui donne, bambini e criminali quasi si prendono per mano, un panorama ben diverso dalla triste realtà quotidiana delle città in cui viviamo. Domande da porsi, prima di farsi ammaliare da un bel sorriso.
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