Il decreto dignità costa 3,5 miliardi: scontro tra Di Maio e la Ragioneria

Il decreto dignità costa 3,5 miliardi: scontro tra Di Maio e la Ragioneria
di Michele di Branco e Umberto Mancini
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Venerdì 29 Giugno 2018, 09:12 - Ultimo aggiornamento: 30 Giugno, 10:14
Scontro aperto sul decreto dignità. Un provvedimento che, a giudizio del Tesoro, costa circa 3,5 miliardi e sul quale bisogna trovare le giuste coperture finanziarie. «Credo - aveva detto due giorni fa il ministro Riccardo Fraccaro - che lunedì sera sarà fatto senza problemi». Ma le certezze dei giorni scorsi sul varo del provvedimento stanno lasciando il campo a un mare di dubbi e incertezze. Anche perché ormai siamo già al terzo rinvio.

I CAPITOLI
Il decreto, che come ha ricordato con un pizzico di sarcasmo il vicepremier Luigi Di Maio «sta facendo il giro delle sette chiese per le bollinature», è finito nel mirino della Ragioneria del Tesoro, ovvero del ministro dell'Economia Giovanni Tria, che lo ha passato al setaccio individuando non solo diversi punti deboli di carattere tecnico, ma anche una grana tanto classica quanto complicata da superare: quella delle coperture finanziarie. Lo stesso discorso del resto riguarda il reddito di cittadinanza che, come noto, Di Maio spinge per far partire subito, mentre il Tesoro frena, facendo capire che se non ci sono i soldi per il decreto figuriamoci per il reddito. Uno scontro aperto che non sarà facile ricomporre. Tant'è che nei giorni scorsi, a fronte del pressing del Movimento, erano perfino circolate le voci, poi rientrate, di possibili dimissioni di Tria, preoccupato per le reazioni dei mercati di fronte ad un aumento della spesa. Ieri, in serata, gli staff dei due ministri erano comunque al lavoro per studiare a fondo il da farsi e cercare un compromesso.

Il decreto dignità, strutturato in 5 capitoli (norme taglia-burocrazia, contrasto alle delocalizzazioni, lotta alla precarietà, semplificazioni fiscali e stop alla pubblicità del gioco d'azzardo) costerebbe infatti circa 3,5 miliardi di euro. E, secondo quanto filtra, i tecnici di Via XX Settembre non sono affatto convinti della solidità delle coperture individuate dalla maggioranza Lega-M5S. E' il pacchetto fisco, in particolare, l'elemento più pesante da coprire. Palazzo Chigi punta alla soppressione di redditometro, spesometro, split payment e studi di settore. Strumenti introdotti nel corso degli anni per consentire una più efficace lotta all'evasione ma piuttosto sgraditi alle categorie produttive. Ebbene lo split payment, un meccanismo introdotto nel 2015 per evitare l'evasione Iva nei rapporti tra aziende e Pa, ha contribuito fortemente a ridurre le frodi consentendo un recupero di circa 4 miliardi nell'arco degli ultimi due anni. E poi c'è la questione del gioco d'azzardo. Il governo progetta la cancellazione assoluta della pubblicità: un passo giudicato fondamentale per limitare il fenomeno della ludopatia. I buoni propositi si scontrano però con le esigenze di bilancio dello Stato in quanto fare a meno degli incassi derivanti da queste forme di promozione costa circa 200 milioni l'anno, 700 in un triennio. Split payment e gioco d'azzardo sono solo due esempi, ma già rendono l'idea di quanto sia difficile la composizione del decreto da parte del ministro Tria, il quale in questi giorni non ha mancato di spiegare le difficoltà a Di Maio, grande sponsor dell'operazione.

CONFINDUSTRIA CRITICA
Come sempre, le questioni di carattere economico-finanziario marciano di pari passo con incagli di natura politica. La parte del decreto che riguarda il lavoro, pesantemente criticata da Confindustria, non piace al mondo delle imprese e la Lega si sta facendo interprete di questi mal di pancia. Il giro di vite sui contratti a termine e sui contratti di somministrazione vengono visti come una minaccia e come un aggravio dei costi a carico delle aziende. Nella bozza del provvedimento, infatti, oltre alla riduzione delle proroghe dei contratti da 5 a 4, trova posto la reintroduzione delle causali: entreranno in vigore dopo il primo anno del contratto (il cui tetto complessivo resta di 36 mesi) e riguarderanno esigenze temporanee e oggettive, e picchi di lavoro ordinari o stagionali. Altra novità, rispuntano le penali: ogni rinnovo, a partire dal secondo, sarà sottoposto ad un aggravio contributivo dello 0,5%.
 
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