Corsi e ricorsi/La resistenza delle ex élites contro gli eletti

di Mario Ajello
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Venerdì 25 Maggio 2018, 00:05
Quello del «popolo contro le élites», che secondo Matteo Salvini dev’essere la nuova dicotomia al posto della vecchia e superata destra-sinistra, è un concetto discutibile. Ma quello delle pseudo-élites - i giri giusti della sinistra, i salotti intellettuali, quel che resta delle macerie democrat e delle loro grancasse mediatiche - che si scagliano contro gli eletti del popolo più che discutibile è un concetto, anzi una pratica o meglio un tic, risibile. Eppure, ci risiamo. 

Un tempo c’era l’anti-berlusconismo, e adesso, prima ancora che il nuovo governo cominci e quando ancora non si è aperta la nuova fase italiana, è subito entrato in scena l’anti-grilloleghismo. Categorie accomunate da una aggressività politico-culturale derivante da uno choc: ossia dalla vittoria degli altri. Subito degradati a fascisti - nel ‘94 quando vinse Forza Italia Umberto Eco stroncò l’Italia come patria del «fascismo eterno» e ora se fosse vivo direbbe più o meno la stessa cosa - o a sfascisti o a barbari o a riprova che il popolino o il popolaccio seleziona sempre i peggiori. 

<HS9>Questa impostazione illiberale ha aiutato il berlusconismo, vittimizzandolo, e invece di abbatterlo lo ha perpetuato. Adesso sembra di vivere in un replay. E ieri, nel cortile di Montecitorio, un gruppetto di leghisti tra cui Giancarlo Giorgetti, notavano soddisfatti: «Speriamo che continuino ad attaccarci e a dire che siamo dei bifolchi». 
<HS9>Dare del bifolco all’eletto significa dare del bifolco all’elettore, e non è affatto bello. Soprattutto è autolesionistico. Ma non solo. La mostrificazione e la ridicolizzazione dell’avversario - per cui oggi Conte non è un premier ma un «premierino», non uno vero ma uno descritto come Ambra quando era telecomandata via auricolare da Boncompagni in tivvù - sono il mezzo per nascondere le proprie incapacità, per mascherare l’orror vacui, per evitare la fatica di definirsi in positivo.

Stroncare il Nemico, ribattezzato anche l’Accozzaglia (copyright Erri De Luca, celebrato scrittore), per non ripensare se stessi. E l’Italia non è più Italia: è Populandia. «Continuiamo così, facciamoci del male», è la celebre battuta di Nanni Moretti sul masochismo-narcisismo di sinistra. Quello che adesso ha solo sostituito i bersagli, restando uguale a se stesso. Con un’aggravante. Se Berlusconi era considerato soltanto il pessimo frutto del popolo teleguidato e plastificato che aveva puntato su di lui, stavolta il grillo-leghismo è anche il frutto delle scelte di una parte degli elettori di sinistra che per abbattere Renzi si sono rivolti a Di Maio finendo (anche) nelle mani di Salvini.

E questo indispettisce ancora di più chi è stato parte attiva di questa situazione paradossale e che invece di leccarsi le ferite si scaglia contro il mondo lamentandosi alla maniera dei vecchi conservatori: o tempora, o mores... Quanti alti lai. Che non provengono - questa è una novità - soltanto da sinistra, ma in questo caso anche da quella destra che il Salvimaio lo ritiene un mostro a due teste e magari rimpiange il Renzusconi. 

In questo clima da «Aspettando i barbari» (il romanzo di gran lunga più bello di J.M. Coeetze), non siamo ancora agli appelli degli intellettuali del ‘94: emigriamo! Oppure: andiamo in montagna come i partigiani! E tuttavia, soffia la malinconia per il mondo di prima. Adriano Sofri l’altro giorno è arrivato addirittura a scomodare Ovidio, per illustrare il suo spaesamento all’epoca del penta-leghismo. Per l’attualità, ha citato i versi dall’esilio di Tristia: «E’ lontana la bellezza di Roma. Vicini, invece, il volgo formato di Sciti e la folla dei Geti vestiti di braghe. Così mi affligge sia ciò che vedo sia ciò che non vedo». Con i paraocchi, naturalmente, non si vede niente. 

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