Consip, mozione degli ex Pd: via le deleghe a Lotti

Consip, mozione degli ex Pd: via le deleghe a Lotti
di Marco Conti
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Martedì 14 Marzo 2017, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 10:12


ROMA I numeri per respingere domani la mozione di sfiducia presentata dal M5S, ci sono. O meglio, a palazzo Madama il Pd conta sull'uscita dall'aula di Forza Italia e degli stessi scissionisti di Mdp. Sarà interessante però vedere a che numeri si fermerà la maggioranza, visto che i più ottimisti sostengono si possa arrivare anche a 160 senatori contrari alla mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro tirato in ballo nella vicenda Consip già da dicembre.

LA DIFESA
Domani il ministro si difenderà nell'aula del Senato dall'accusa di aver violato il segreto istruttorio avvisando i vertici di Consip di indagini ed intercettazioni. Interrogato a dicembre è stato lo stesso ministro dello Sport a respingere le accuse, ma nelle settimane successive l'inchiesta ha avuto ulteriori sviluppi con arresti e perquisizioni.

In attesa delle decisioni della procura, la politica deciderà domani se sfiduciare o meno quello che nello scorso governo era considerato il braccio destro di Matteo Renzi che, più volte, ha accusato i grillini di doppiopesismo. Ovvero di aver cambiato anche le regole interne pur di difendere la sindaca di Roma Virginia Raggi, anch'essa indagata seppur per tutt'altra faccenda, mentre su Lotti hanno presentato la mozione che verrà votata domani. Sulla stessa linea dei grillini sono i leghisti mentre provano a distinguersi, con molte difficoltà, i fuoriusciti del Pd.
«Non voteremo la mozione M5S di sfiducia a Lotti, ne presenteremo una noi in cui chiediamo che il ministro si dimetta o che, in alternativa, il presidente del Consiglio gli ritiri le deleghe», sostiene Cecilia Guerra, capogruppo di Mpd al Senato. «Riteniamo - prosegue la Guerra - che così come è stata presentata (la mozione M5S) abbia solo l'obiettivo di mettere in difficoltà il governo che noi sosteniamo perché facciamo parte della maggioranza». La mozione di Mdp deve essere ancora calendarizzata, ma per il Pd dalle motivazioni della Guerra si ode lo stridio delle unghie sul vetro. Ed in effetti per chiedere ad un ministro di dimettersi non serve votare una mozione, mentre obbligare il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a levare le deleghe a Lotti non spetta al Parlamento.

«Tutte le mozioni che prevedono le dimissioni di Lotti, in tutte le sue varianti, verrano respinte», ha sostenuto ieri il ministro Maurizio Martina. Della stessa idea il capogruppo al Senato Luigi Zanda e il responsabile giustizia del Pd Davide Ermini. La stessa FI, che secondo i bersaniani alla fine potrebbe convergere sul loro testo rendendolo un pericolo più concreto per il governo, in realtà frena. «Non ne abbiamo ancora discusso nel gruppo, decideremo dopo esserci confrontati», allontana da sé l'amaro calice Paolo Romani, «questa è una cosa diversa, non è una mozione di sfiducia individuale. Molto dipenderà da cosa dirà mercoledì lo stesso Lotti in aula».

I TEMPI
In attesa che il presidente del Senato decida sull'ammissibilità - per qualcuno quanto meno dubbia - della mozione, nella maggioranza e in particolare nel Pd, ci si interroga sul rapporto complicato con gli scissionisti. Domenica al Lingotto la vicesegretaria Deborah Serracchiani è stata molto netta sull'argomento avvisando i fuoriusciti che non rientreranno in alleanza con il Pd anche se traghettati, dal Campo democratico di Giuliano Pisapia. La mozione presentata ieri dalla Guerra scalda ancor più gli animi e radica i renziano nella convinzione che sia opportuno non toccare il sistema elettorale messo a punto dalla Consulta in modo non essere costretti ad alleanza e lasciare anche ad Mdp il compito di superare al Senato lo sbarramento dell'8%.