Codice antimafia, il Pd si divide. Renzi: ho i dubbi di Cantone

Codice antimafia, il Pd si divide. Renzi: ho i dubbi di Cantone
di Emilio Pucci
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Venerdì 29 Settembre 2017, 08:22 - Ultimo aggiornamento: 15:25

«Io la penso come Cantone». Alcune parti di questa legge non vanno, inutile girarci intorno: Renzi è in una fase zen, non ha intenzione di calcare la mano o di fare polemiche interne al Pd ma non ha cambiato idea sulle norme del Codice Antimafia. Sotto voce una buona fetta del partito la pensa allo stesso modo. «Io sono coerente, anche quando ero a palazzo Chigi la pensavo così», argomenta il segretario dem con i suoi. L'invito ai fedelissimi è di non alzare un polverone su una materia, quella della lotta alla mafia, che necessita comunque di un messaggio forte.

ESTENSIONE NEL MIRINO
La critica maggiore è sull'estensione delle misure di prevenzione anche a chi è indiziato per reati contro la Pa. Sono le stesse perplessità espresse a suo tempo dal presidente dell'Anticorruzione. «Il rischio è che si snaturi l'allarme lanciato diversi mesi fa da Cantone un sistema di prevenzione che ha il suo carattere eccezionale legato alle mafie, gli effetti potrebbero essere tutt'altro che positivi», anzi «controproducenti». Nella maggioranza hanno prevalso ragioni di opportunità, cambiare il Codice alla Camera avrebbe affossato l'intero provvedimento. Ma il malessere è diffuso. «Non possiamo alzare bandiera bianca contro la corruzione, avremmo mandato un messaggio sbagliato all'opinione pubblica», sottolineano tanti parlamentari dem che pur comprendendo le critiche mosse anche da esponenti come Violante, hanno preferito rimandare la battaglia alla prossima legislatura. «Ora dobbiamo difendere le posizioni», il leitmotiv.

«L'equiparazione tra corruzione e mafia in quella legge è sbagliata», dice però chiaro e tondo il presidente del Pd Orfini che limita il suo giudizio negativo a «quell'articolo del testo», in quanto si tratta di «una forzatura, un cedimento a una visione giustizialista del diritto, secondo me abbastanza incompatibile con i principi a cui dovremmo ispirarci». «Cambieremo presto quella norma», assicurano i renziani, mettendo la modifica tra i primi punti dell'agenda post voto. Una misura che l'ex premier con i suoi ha definito «un'assurdità» e che ha lasciato perplessi anche alcuni esponenti dell'esecutivo. Il ministro Finocchiaro la difende a spada tratta: «Nessuna equiparazione tra mafia e corruzione.

La riforma del Codice antimafia spiega - estende la possibilità del sequestro e della confisca dei beni ai casi in cui i reati contro la Pa sono collegati a una associazione criminale». Dal dicastero della Giustizia si ribadisce che non è previsto alcun intervento a breve. Contro l'eventualità di una misura correttiva è anche Piero Grasso, il quale ricorda che il codice era parte del programma dem: «Un decreto che cambia la legge sarebbe un segnale assolutamente negativo, un boomerang nei confronti delle stesse forze politiche che l'hanno approvato».

IL MONITORAGGIO
Dunque avanti con il monitoraggio, anche se si allarga il fronte dei contrari ad estendere in maniera così ampia le misure di prevenzione. In Ap alcuni come Cicchitto non hanno partecipato al voto, i centristi torneranno alla carica. E anche in Mdp ci sono voci contrarie: «Assistiamo denuncia Leva, bersaniano ed ex responsabile giustizia del Pd - ad un inarrestabile declino giustizialista che travolge ogni più elementare garanzia difensiva. L'estensione della confisca o delle altre misure di prevenzione agli indiziati di corruzione, peculato o addirittura di stalking risponde solo ad esigenze di propaganda». Ed ancora: «Aver voluto equiparare i reati comuni ai reati di criminalità organizzata è indice di una regressione culturale preoccupante».

Sul piede di guerra è soprattutto Forza Italia. «La riforma del Codice antimafia introduce nell'ambito della Pubblica Amministrazione la logica del sospetto: basta essere indiziati, ossia appunto sospettati, per far scattare misure di prevenzione personali e patrimoniali come la confisca dei beni. Il risultato sarà la paura di agire e, quindi, la paralisi della Pa, denuncia il deputato azzurro Francesco Sisto».